NESSUNO TOCCHI CAINO - CAFIERO DE RAHO E CARLO NORDIO, DIVISI SU TUTTO, MA UNITI NELLA LOTTA AI CAVALLOTTI

 

NESSUNO TOCCHI CAINO – SPES CONTRA SPEM

Associazione Radicale Nonviolenta
Transnazionale Transpartitica

Anno 25 - n. 7 - 15-02-2025

 LA STORIA DELLA SETTIMANA

CAFIERO DE RAHO E CARLO NORDIO, DIVISI SU TUTTO, MA UNITI NELLA LOTTA AI CAVALLOTTI

NEWS FLASH

1. INTERDITTIVA ANTIMAFIA: L’USO, A VOLTE SOMMARIO, DI UN PROVVEDIMENTO PARTICOLARMENTE INVASIVO
2. IRAN: RAPPORTO SULLE VIOLAZIONI DEI DIRITTI DELLE DONNE NEL GENNAIO 2025
3. INDIA: ASSOLTO DALLA CORTE SUPREMA PER MANCANZA DI ‘PROVE ADEGUATE’
4. NORTH CAROLINA (USA): ANNULLATA LA CONDANNA A MORTE DI HASSON BACOTE ‘PER MOTIVI RAZZIALI’

I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA

SAN GIMIGNANO: 20 FEBBRAIO VISITA AL CARCERE E CONFERENZA




CAFIERO DE RAHO E CARLO NORDIO, DIVISI SU TUTTO, MA UNITI NELLA LOTTA AI CAVALLOTTI
Pietro Cavallotti

L’onorevole Cafiero De Raho e altri esponenti del Movimento 5 stelle hanno fatto un’interrogazione al Ministro della Giustizia che riguarda il ricorso promosso dalla mia famiglia davanti alla Corte Europea. Per gli interroganti il ricorso “desta preoccupazione” e occorre che “a tutte le autorità del Consiglio d’Europa sia ben chiara quale sarebbe la conseguenza grave dell’eventuale accoglimento del ricorso, vale a dire la messa in discussione del pilastro fondamentale del contrasto delle mafie in Italia e in Europa”. Tutto ciò è gravissimo! Dovrei andare da mio padre, da mia madre e dai miei parenti che da ventisette anni aspettano giustizia e dire: scordatevi di ritornare a casa perché, per un gruppo di parlamentari, dovete essere sacrificati per salvare il sistema!
Un movimento politico che fa del rispetto delle sentenze uno dei suoi pilastri, un ex magistrato che, in teoria, dovrebbe avere la “cultura della giurisdizione” temono la sentenza di una Corte sovranazionale e cercano di condizionarne il giudizio!
I Cavallotti devono perdere per consentire a qualcuno di continuare a massacrare innocenti facendo passare tutto questo per lotta alla mafia.
Cari amici del movimento 5 stelle, la lotta alla mafia, secondo voi, si fa colpendo chi, dopo un lungo calvario giudiziario, è stato riconosciuto innocente? Si fa distruggendo aziende sane, posti di lavoro e intere famiglie? Si fa facendo ingrassare amministratori giudiziari, coadiutori e professionisti che hanno accumulato ingenti fortune sulle spalle di persone innocenti?
È vero, bisogna andare al Consiglio d’Europa ma per raccontare esattamente come stanno le cose, per smentire le bugie che sono state raccontate, per rappresentare il reale funzionamento di un meccanismo infernale che genera veri e propri crimini di Stato e che all’estero ignorano del tutto.
In questi anni abbiamo cercato di coinvolgere tutta la classe politica, senza pregiudizi e senza guardare il colore della maglia. De Raho lo avevo “incontrato” virtualmente nel novembre 2023 insieme a Massimo Niceta. Avevamo accolto con grande favore la disponibilità al confronto di De Raho. In quell’occasione non solo ammise di non conoscere alcuni aspetti del sistema delle misure di prevenzione (ignorava, per esempio, che il giudice che dispone il sequestro è lo stesso che applica la confisca) ma si era impegnato a prevedere un meccanismo di indennizzo a favore di coloro che hanno ottenuto la restituzione dei beni.
Qualche mese dopo, a febbraio 2024, invece, fece l’interrogazione parlamentare, una pugnalata alle spalle. Della previsione dell’indennizzo non si ha notizia.
Tra i firmatari dell’interrogazione leggo anche il nome di Davide Aiello, un bravo ragazzo che in tutti questi anni ha espresso solidarietà. Davide, che cosa ti ha indotto a firmare quella vergogna? La volontà di mettere in difficoltà il Governo supera il sentimento di giustizia e la solidarietà verso una famiglia di innocenti rovinata dalla parte peggiore dello Stato? Conta solo il rispetto degli “ordini di scuderia”?
Gli ideali e le convinzioni personali si possono calpestare con la stessa disinvoltura con cui è stata calpestata in tutti questi anni la nostra dignità?
Ancor di più stupisce la risposta del Ministro Nordio. Il Ministro delle garanzie, del giusto processo accusatorio, della separazione delle carriere, rassicura De Raho spiegando di avere fatto tutto quanto in suo potere per fare in modo che il ricorso Cavallotti venga rigettato!
Caro Nordio, come fa di giorno a battersi per la separazione delle carriere e per il giusto processo accusatorio e di notte difendere il sistema inquisitorio delle misure di prevenzione? Come fa a parlare di “presunzione di innocenza” e al tempo stesso difendere la confisca nei confronti di persone che sono state assolte? Lei che ha ben presente il condizionamento che in qualche caso una parte della Magistratura ha esercitato nei confronti della politica con iniziative giudiziarie che si sono risolte nel nulla, come fa a non vedere che, attraverso le misure di prevenzione, sono state tolte dal mercato per via giudiziaria imprese sane? Come può parlare in Italia di “rispetto delle garanzie” e vantarsi di avere sponsorizzato all’estero le misure di prevenzione?
L’unica spiegazione è che per troppi anni la politica è entrata nelle aule di Tribunale e, così facendo, la giustizia è uscita dalle aule di giustizia.
Dio solo sa le pressioni che da più parti si stanno esercitando nei confronti della Corte Europea.
Se fossimo in un paese normale, i cosiddetti “garantisti” dovrebbero saltare dalla sedia e il Presidente della Repubblica dovrebbe prendere posizione contro indebiti tentativi di condizionamento della Corte. Ma siamo in Italia e la giustizia è ridotta a mero auspicio di persone che, nonostante tutto, non hanno perso la speranza e la forza di lottare per i loro diritti.
Se vincono i Cavallotti a Strasburgo, non viene indebolita la lotta alla mafia in Italia. Se vincono i Cavallotti, si fa giustizia ed è già troppo tardi.



NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

INTERDITTIVA ANTIMAFIA: L’USO, A VOLTE SOMMARIO, DI UN PROVVEDIMENTO PARTICOLARMENTE INVASIVO
Vito Pacca*

L’interdittiva antimafia vede le sue origini con il decreto legislativo n. 159 del 2011 che ha dato vita al Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione introducendo nel nostro ordinamento giuridico il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, notoriamente conosciuto come articolo 416 bis. Il provvedimento di interdittiva antimafia, che per sua natura viene collocato nell’ambito dei provvedimenti di carattere amministrativo emanati dal Prefetto, tende a eliminare o limitare la capacità giuridica delle società in probabile odore di mafia.
Il termine “probabile” è doverosamente riportato in quanto uno dei pilastri su cui fonda le sue radici questo provvedimento è proprio il principio del “più probabile che non” che, in ambito civilistico, il giudice applica riconoscendo semplicemente “che il fatto sia avvenuto con una ragionevole probabilità logica”, in barba al principio “iuxta alligata et probata” in base al quale, invece, il giudice deve giudicare solo secondo le prove raggiunte e i documenti allegati.
Fatta questa breve ma necessaria e doverosa premessa, passiamo al fatto. In data 16 dicembre 2024, la Prefettura di Avellino trasmette via PEC un “Preavviso di diniego iscrizione-permanenza in white list/Informazione antimafia interdittiva” a una piccola impresa operante nell’ambito dei lavori edili stradali, di cui ne seguo le sorti. Il preavviso evidenziava, in primo luogo, la “cointeressenza” della piccola realtà irpina con una società già oggetto di provvedimento di interdittiva antimafia e in attesa di pronuncia da parte del TAR di Salerno.
In secondo luogo, “l’assunzione” di un operaio che, cinque mesi dopo il licenziamento veniva condannato per reati associativi di natura mafiosa.
La cointeressenza, rappresentata nel preavviso di diniego, prendeva spunto da un passaggio di documenti tra la società colpita dal provvedimento di interdittiva e una terza impresa, committente dei lavori. A conti fatti, la piccola impresa, mia assistita, aveva semplicemente assunto ruolo di tramite, dunque, un ruolo del tutto marginale. Tra l’altro, i rapporti in essere tra la piccola impresa e la società interdetta erano limitati a uno spazio temporale ben preciso e assolutamente ridotto rispetto a quello che potrebbe configurarsi un continuo legame commerciale e imprenditoriale facendo escludere, quindi, l’individuazione di un elemento di stabile compartecipazione.
L’assunzione dell’operaio condannato per reati associativi di natura mafiosa (anche in questo caso si parla di brevissimi periodi di tempo ovvero limitati alla fattuale necessità per mancanza di manodopera) ha determinato l’emissione del preavviso nonostante lo stesso sia stato licenziato, per incomprensioni con la proprietà, come dicevamo, ben cinque mesi prima della sua condanna.
La presenza del soggetto in questione è stata considerata, evidentemente, quale elemento determinante ai fini dell’emissione del preavviso, disconoscendo, di converso, la mera collaborazione temporanea quale realtà oggettiva.
Tanto è bastato all’Autorità competente per decidere di emettere un “Preavviso di diniego iscrizione-permanenza in white list”.
Senza essere sentenzioso, è chiaro che, alla luce di quanto riportato, l’intero istituto va assolutamente modificato, corretto, migliorato e contestualizzato tenendo conto degli aspetti che, inevitabilmente, contraddistinguono, vuoi per fatti vuoi per vicende, le varie realtà imprenditoriali.
Le innovazioni portate dal Disegno di legge 152/2021, recante disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose, convertito, con modificazioni, nella legge n.233/2021, non hanno provveduto, a mio modesto avviso, a somministrare nuova linfa alla delicata materia.
Sarebbe stato necessario approvare uno speciale e specifico emendamento atto a modificare e migliorare alcuni aspetti del provvedimento di interdittiva antimafia, allo stato delle cose, tanto invasivo quanto dirompente, a tratti addirittura incontrollabile.
Dopo le questioni sollevate, a partire dal caso dei fratelli Cavallotti, in materia di sequestri e confische di prevenzione, la CEDU di recente ha esaminato con particolare attenzione anche le interdittive antimafia focalizzando l’interesse sulla valutazione dei presupposti applicativi dei provvedimenti prefettizi. Non di rado ci si è trovati di fronte a un netto squilibrio tra la realtà oggettiva e le probabilità logiche.
I giudici della Corte Europea hanno posto finalmente al governo italiano specifici quesiti sull’effettivo carattere delle misure interdittive e sulla rispondenza del procedimento prefettizio ai canoni del giusto processo.
* Avvocato Foro di Benevento



IRAN: RAPPORTO SULLE VIOLAZIONI DEI DIRITTI DELLE DONNE NEL GENNAIO 2025
Secondo le statistiche compilate dall'Organizzazione Hengaw per i Diritti Umani, nel gennaio 2025 almeno 20 attiviste sono state arrestate in Iran e tre sono state condannate alla reclusione e alla fustigazione dalla magistratura iraniana. Inoltre, sono stati registrati 18 casi di femminicidio in varie città dell'Iran.
Non sono state registrate esecuzioni di donne nelle carceri iraniane nel gennaio 2025.
Per quanto riguarda gli arresti, almeno 20 donne attiviste sono state arrestate in varie città dell'Iran nel gennaio 2025, pari al 9% di tutti gli arresti registrati in quel mese.
Tra queste, sei erano attiviste curde e undici adepte baha'i.
I nomi delle donne arrestate sono i seguenti:
- Isfahan: 1. Roya Azadkhosh; 2. Nasrin Khademi; 3. Mojgan Pourshafi; 4. Azita Rezvanikhah; 5. Boshra Motahar; 6. Sara Shakib; 7. Shorangiz Bahamin; 8. Sanaz Rasteh; 9. Maryam Khorsandi; 10. Farkhondeh Rezvanpi; 11. Firoozeh Rasti-Nejad;
- Bukan: 12. Srveh Shiri; 13. Bafrin Mahmoudi;
- Sanandaj: 14. Aida Amouei;
- Ahvaz: 15. Ahlam Bandar;
- Mahabad: 16. Galawej Mohammadi-Arshad;
- Sabzevar: 17. Nahid Malvandi;
- Sarvabad: 18. Parvin Advaei;
- Dehgolan: 19. Sohila Mataei;
- Teheran: 20. Arghavan Fallahi.

Per quanto riguarda le sentenze emesse contro le attiviste, nel gennaio 2025 almeno tre sono state condannate in diverse città dell'Iran.
I nomi delle donne condannate sono i seguenti:
- 1. Ghazal Marzban Joorashari, cristiana convertita di Gilan, condannata a 6 mesi di carcere e 74 frustate.
- 2. Kokab Badaghi Panahi, insegnante di Izeh, condannata a 6 anni di carcere.
- 3. Sharareh Rouhani, attivista baha'i di Isfahan, condannata a 6 anni di carcere.
L'arresto e la condanna delle donne sono una forma sistematica di discriminazione di genere nella Repubblica islamica dell'Iran.
Durante la rivoluzione “Donna, vita, libertà”, le attiviste hanno dovuto affrontare un'intensa repressione. Lo Stato iraniano ha costantemente limitato le attività sociali, politiche e di tutela dei diritti umani delle donne sin dalla sua costituzione.
Politiche come la segregazione di genere, la criminalizzazione delle identità LGBTQ+ e l'esclusione dei gruppi di genere emarginati rafforzano un sistema di apartheid di genere sponsorizzato dallo Stato in Iran.

Inoltre, Hengaw ha registrato almeno 18 casi di femminicidio in Iran nel gennaio 2025. Di questi, 16 sono stati commessi da parenti stretti, tra cui mariti, fratelli e padri.
Ripartizione dei casi di femminicidio per tipo di autore:
- 7 donne sono state uccise dai loro mariti.
- 3 donne sono state uccise dai loro fratelli.
- 2 donne sono state uccise dal padre.
- 1 donna è stata uccisa sia dal padre che dal fratello.
- 2 donne sono state uccise da aggressori non identificati.
- Altri casi hanno coinvolto autori come uno spasimante, un cognato e il figlio di un amico.
Motivi delle uccisioni:
- 9 casi erano legati a conflitti domestici.
- Tre donne sono state uccise per il cosiddetto motivo dell'“onore”.
- 1 donna è stata uccisa durante una rapina.
- 1 donna è stata uccisa per aver rifiutato una proposta di matrimonio.
- 4 casi rimangono non spiegati.
Ripartizione dei femminicidi per provincia:
- Lorestan: 4 casi;
- Kermanshah (Kermashan): 3 casi;
- Azerbaigian occidentale (Urmia) e Kurdistan (Sanandaj): 2 casi ciascuno;
- Altre province (Hamedan, Gilan, Ilam, Sistan-Baluchestan, Khuzestan, Alborz e Azerbaigian orientale): 1 caso ciascuna.
Il femminicidio rappresenta la manifestazione più estrema della misoginia e della violenza di genere nella società.
I “delitti d'onore” sono solo una parte di questi omicidi, poiché la causa principale risiede nei sistemi patriarcali, nelle leggi oppressive e nella discriminazione di genere.
Secondo i rapporti sui diritti umani di Hengaw, nel 2024 sono stati registrati 122 femminicidi in tutto l'Iran, la maggior parte dei quali commessi da familiari stretti.
Il quadro giuridico iraniano normalizza la violenza contro le donne, consentendo il persistere di crimini di genere. Hengaw ritiene che la Repubblica islamica dell'Iran sia uno Stato di apartheid di genere, dove l'oppressione sistematica delle donne è istituzionalizzata e legalmente sancita. La comunità internazionale deve riconoscere l'apartheid di genere come crimine contro l'umanità, incorporandolo nei quadri giuridici internazionali. Lo Stato iraniano deve essere chiamato a rispondere della sua persecuzione di genere e delle sue politiche oppressive nei confronti delle donne.
(Fonte: Hengaw)



INDIA: ASSOLTO DALLA CORTE SUPREMA PER MANCANZA DI ‘PROVE ADEGUATE’
La Corte Suprema indiana ha annullato la condanna a morte che era stata inflitta a un uomo di Agra per gli omicidi del fratello, della cognata e dei loro quattro figli, ha riportato il Times of India il 10 febbraio 2025.
L'uomo, Gambhir Singh, è in prigione da 13 anni.
Riferendosi agli inquirenti, la Corte Suprema ha affermato che "l'indagine su un caso che coinvolge gli orribili omicidi di sei persone è stata condotta in modo estremamente superficiale e negligente".
La Corte ha ritenuto che l'indagine della polizia di Agra non sia riuscita a fornire "prove adeguate" per condannare l'imputato, aggiungendo che "la tesi dell'accusa è piena di buchi impossibili da sanare".
Respingendo la testimonianza dell'ufficiale inquirente, la Corte ha affermato di non aver trovato "nulla a sostegno della teoria del movente" del crimine e ha evidenziato le lacune nella gestione delle prove, in particolare per quanto riguarda l'uso delle armi del delitto.
"Dopo aver esaminato tutto il materiale disponibile a verbale, riteniamo che nel caso in questione ci sia stato un approccio totalmente svogliato da parte dell'agenzia investigativa e dell'accusa", ha affermato la Corte nella sentenza emessa il 28 gennaio, resa disponibile il 7 febbraio.
Gambhir Singh era stato accusato di aver ucciso nel 2012 il fratello maggiore Satyabhan, la moglie Puspa e i loro quattro figli, presumibilmente con un'ascia.
Secondo l’accusa, avrebbe commesso gli omicidi per una disputa relativa a una proprietà nel villaggio Turkiya, presso Agra.
Nel 2017 gli era stata inflitta la pena di morte da un tribunale di primo grado ai sensi della sezione 302 del Codice Penale indiano (omicidio).
Nel 2019 l'Alta Corte di Allahabad aveva respinto il suo appello contro la condanna emessa dal tribunale inferiore.
(Fonte: Times of India, 10/02/2025)



NORTH CAROLINA (USA): ANNULLATA LA CONDANNA A MORTE DI HASSON BACOTE ‘PER MOTIVI RAZZIALI’
Il giudice Wayland Sermons della Johnston County ha stabilito il 7 febbraio 2025 che “la razza è stata un fattore significativo” sia nella selezione della giuria che nella decisione di imporre la morte nel caso di Hasson Bacote e ha annullato la sua condanna a morte in base alle disposizioni della legge sulla giustizia razziale (Racial Justice Act, RJA).
Il giudice Sermons ha anche stabilito che la discriminazione razziale ha contaminato tutte le condanne a morte nella contea di Johnston e nelle vicine contee di Harnett e Lee, influenzando potenzialmente i risultati di altre richieste di revisione ai sensi della legge RJA in corso.
La legge RJA era stata approvata nel 2009, e consente alle persone condannate a morte di impugnare la sentenza in base al ruolo che la razza ha avuto nella sentenza e nella selezione della giuria. Le persone che potevano dimostrare che la loro condanna era stata pregiudicata da pregiudizi razziali avrebbero avuto la pena commutata in ergastolo senza condizionale.
Nel 2013, sotto il governatore Pat McCrory, la RJA è stata abrogata, ma nel 2020 la Corte Suprema dello Stato ha stabilito che i detenuti che prima dell’abrogazione avevano già presentato ricorso avevano diritto alla piena applicazione della legge.
Il caso del signor Bacote è il primo ad essere ascoltato dopo la sentenza della Corte Suprema del 2020.
Bacote, un uomo di colore condannato a morte nel 2009, ha impugnato la sua condanna ai sensi della RJA nel 2010, sostenendo che i pregiudizi razziali hanno influenzato la selezione della giuria nel suo caso e in tutti gli altri casi di pena di morte nella Carolina del Nord.
Gli avvocati di Bacote, tra cui il Center for Death Penalty Litigation, l'ACLU e il NAACP Legal Defense Fund, hanno presentato prove statistiche e di altro tipo durante due settimane di udienze all'inizio dell'anno scorso, evidenziando un modello di pregiudizio razziale chiaro e persistente nella selezione della giuria a livello di contea e di Stato.
Nella sua sentenza, il giudice Sermons ha detto che le prove hanno mostrato che “i procuratori hanno colpito i membri della giuria di colore a tassi ampiamente sproporzionati rispetto ai membri della giuria di altre razze” (hanno escluso le persone di colore dalla selezione dei giurati popolari, ndt) nei casi di pena di morte nella contea di Johnston, dove il signor Bacote è stato processato, così come nelle contee di Lee e Harnett, e che “la razza è stata un fattore significativo” in quelle decisioni.
Il giudice Sermons ha anche rilevato che “la razza è stata alla base della decisione di imporre la pena di morte al signor Bacote”.
Sermons ha detto di essere convinto che le disparità statistiche presentate all'udienza sulla selezione dei giurati “sono vere” anche quando si prendono in considerazione le ragioni per colpire i giurati più frequentemente citate dai procuratori, tra cui: l'opinione di un giurato sulla pena di morte; qualsiasi possibile passato criminale di un giurato; così come l'occupazione di un giurato, lo stato civile e le difficoltà che potrebbe affrontare se costretto a prestare servizio nella giuria. Tra le altre prove presentate all'udienza, vi sono testimonianze dettagliate di statistici, scienziati sociali, storici e studiosi di diritto sui modelli di pregiudizio razziale nell'amministrazione della pena di morte nella Carolina del Nord.
La sentenza arriva sulla scia della storica concessione di clemenza da parte del governatore del North Carolina Roy Cooper a 15 persone nel braccio della morte dello Stato alla fine del 2024, tra cui il signor Bacote.
Secondo il team legale di Bacote, la decisione del giudice Sermons non influirà sulla sua sentenza perché la sua condanna è già stata commutata dal governatore, ma la sentenza ha un potenziale impatto sulle 121 persone rimaste nel braccio della morte del North Carolina a causa dell'ampiezza delle sue conclusioni.
Il giudice Sermons ha citato specificamente il comportamento del procuratore Greg Butler, il procuratore nel caso di Bacote e in molti altri casi, notando che egli, come regola, “ha colpito i membri neri qualificati della giuria a un tasso 3,48 volte superiore a quello di tutti gli altri”. Il giudice Sermons ha anche citato Butler per essersi riferito a imputati neri in altri casi di morte che stava perseguendo con termini dispregiativi, tra cui “pezzi di spazzatura” e “predatori della pianura africana”.
(Fonte: DPIC, 07/02/2025)



I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA

SAN GIMIGNANO: 20 FEBBRAIO VISITA AL CARCERE E CONFERENZA

LA FINE DELLA PENA
VISITARE I CARCERATI 2025
SAN GIMIGNANO

20 febbraio 2025

Ore 11:30 – 14:00
Visita alla Casa di Reclusione
Partecipano rappresentanti di Nessuno tocchi Caino I Camera Penale di Siena e Montepulciano I Osservatorio Carcere UCPI I Esperienza Italia I Altra Psicologia

Ore 14:30
CONFERENZA
“Lavoro in carcere per il reinserimento sociale”
Casa di Reclusione di San Gimignano

Intervengono
Rita Bernardini I Michela Rossi I Ilaria Cornetti I Sergio D’Elia I Andrea Torracca I Tommaso Ciulli I Elena Augustin I Giuliana Falaguerra I Federica Goti I Mirko Mecacci I Luca Maggiora

Info 335 6153305





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