NESSUNO TOCCHI CAINO - IL VERO SCOPO DELLA GIUSTIZIA NON È PUNIRE, MA SANARE LE FERITE E RICOSTRUIRE RELAZIONI
NESSUNO TOCCHI CAINO – SPES CONTRA SPEM |
Associazione Radicale Nonviolenta |
Anno 25 - n. 10 - 08-03-2025 |
LA STORIA DELLA SETTIMANA IL VERO SCOPO DELLA GIUSTIZIA NON È PUNIRE, MA SANARE LE FERITE E RICOSTRUIRE RELAZIONI NEWS FLASH 1. LA MATTANZA DEL CARCERE, UN DRAMMA CHE NON INTERESSA QUASI A NESSUNO 2. EMIRATI ARABI UNITI: TRE CITTADINI INDIANI GIUSTIZIATI PER OMICIDIO 3. IRAN: OLTRE 7.000 PRIGIONIERI NEL BRACCIO DELLA MORTE 4. CINA: GIUSTIZIATA PER IL RAPIMENTO E TRAFFICO DI 17 BAMBINI IL VERO SCOPO DELLA GIUSTIZIA NON È PUNIRE, MA SANARE LE FERITE E RICOSTRUIRE RELAZIONI Enrico Marignani* A due anni esatti dalla entrata in vigore della riforma Cartabia in materia penale, si rende necessario un bilancio, seppur sintetico, dei lavori in corso. Molto è stato fatto, ma molto è ancora da fare, anzi, potremmo dire che ciò che è stato fatto sono i preliminari alla messa a sistema della vera novità della riforma: la Giustizia di Comunità. L’istituzione di un albo nazionale di mediatori penali esperti, coloro che da almeno cinque anni praticano la mediazione penale nei centri di giustizia riparativa, è senza dubbio un primo importante passo. È infatti un riconoscimento esplicito del lavoro svolto in passato dai già menzionati centri e, secondo una interpretazione estensiva della riforma, potranno continuare a operare parallelamente a quelli di prossima apertura che il Ministero di Giustizia delegherà alle Corti di Appello territoriali. Ma la novità ancora più rilevante è la sentenza della Cassazione pubblicata il giorno di San Valentino del 2024, la n. 6595, con cui per la prima volta la Suprema Corte definisce in maniera esplicita la Giustizia Riparativa come “un servizio pubblico di cura delle relazioni tra persone, non diversamente da altri servizi di cura relazionale ormai diffusi in diversi settori della sanità e del sociale”. L’obiter dictum ha una portata molto più ampia di quanto si creda, perché porta con sé l’idea che la Giustizia non è solo la risposta al male con la inflizione di un altro male, la punizione appunto, ma si preoccupa anche di ristabilire il benessere con la cura della ferita causata dal reato. Per comprendere la portata rivoluzionaria della definizione di Giustizia data dalla Cassazione, è utile ripartire dalle considerazioni comuni secondo cui la giustizia è spesso rappresentata come una bilancia, un’immagine che evoca equilibrio e imparzialità. Ma per comprendere appieno la sua complessità e il suo potenziale introdotto dalla sentenza n. 6595/2024, possiamo immaginarla come un organismo vivo che respira con due polmoni: uno punitivo e l’altro relazionale. Il polmone punitivo è quello tradizionale, radicato nella ricerca della colpa e nell’applicazione di una pena proporzionata al reato commesso. Questo approccio si basa sul principio di deterrenza e retribuzione: chi viola la legge deve risponderne di fronte alla società, e la punizione serve sia a riparare simbolicamente l’ordine infranto, sia a scoraggiare futuri comportamenti illeciti. Il polmone relazionale, invece, si alimenta di un’altra visione della giustizia, quella riparativa. Qui, l’obiettivo non è solo individuare una colpa, ma favorire un’assunzione di responsabilità che coinvolga non solo il reo, ma anche la vittima e la comunità. La giustizia riparativa offre uno spazio di dialogo in cui le parti possono confrontarsi, riconoscere il danno subito e lavorare insieme per ripararlo, sia a livello materiale che emotivo. In questo processo, il focus si sposta dalla punizione alla cura e alla ricostruzione delle relazioni. Quest’ultima prospettiva è tuttavia possibile con la Giustizia di comunità, che si fonda su una società multietnica e trasversale, libera da pregiudizi di vincoli sociali, religiosi o di censo. I valori di riferimento della Giustizia di comunità sono l’ascolto, il non giudizio e la volontarietà della partecipazione alla vita comunitaria. Questo approccio promuove una visione della giustizia basata sul dialogo e la coesione sociale, dove ogni individuo è parte attiva di un processo volto a stabilire relazioni più solide e consapevoli. Oggi, i due polmoni della giustizia operano in modo complementare. Il sistema punitivo permane essenzialmente al fine di dare un senso di sicurezza e ordine, mentre quello relazionale inizia a trovare spazio come risposta alle limitazioni della giustizia tradizionale, soprattutto nei casi in cui il reato ha generato ferite profonde che la sola punizione non può sanare. Tuttavia, questa complementarietà rappresenta solo una fase transitoria. Con l’introduzione della Giustizia di comunità ci accingiamo a una evoluzione, oserei dire necessaria, della coscienza sociale, con cui riconoscere che il polmone relazionale non è solo un’aggiunta al sistema punitivo, ma una sua trasformazione più profonda. Infatti, nella giustizia riparativa è già implicito un senso di responsabilità e di riparazione che ingloba, in una forma più umana e inclusiva, il concetto di giustizia retributiva. Quando comprendiamo che il vero scopo della giustizia non è solo punire, ma anche prendersi cura e quindi ristabilire un nuovo equilibrio sociale fondato su un concetto di salute che si adegua continuamente al contingente, possiamo iniziare a immaginare un sistema giuridico che respira con un unico polmone: quello relazionale. Questa evoluzione richiederà tempo, coraggio e un profondo cambiamento culturale. Ma il percorso è già tracciato. E ogni passo verso una giustizia più riparativa è un passo verso una società più consapevole e coesa, capace di riconoscere che, nell’assunzione di responsabilità e nella ricostruzione delle relazioni, si trova la vera essenza della giustizia. * Presidente Unione Giuristi Cattolici Italiani, Treviso NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH LA MATTANZA DEL CARCERE, UN DRAMMA CHE NON INTERESSA QUASI A NESSUNO Livio Ferrari Le 189 carceri per adulti sono diventate camposanti, 246 morti e tra questi 90 suicidi nel 2024, 53 morti con 15 suicidi dall’inizio dell’anno, questo per quanto riguarda i reclusi, se poi aggiungiamo anche il personale della polizia penitenziaria il numero diventa ancora più alto, per una mattanza che non si placa e per un dramma che non interessa quasi a nessuno, governo e parlamento compresi. Tanto, quale interesse rivestono i poveri? I 17 istituti per i minori stanno assiepando da un paio d’anni sempre più giovani vite, soprattutto straniere, senza un senso reale per questo accanimento nei loro riguardi, se non quello del mostrare i muscoli. Come per ogni azione che calpesta i diritti delle persone però basterà attendere perché comporterà una azione contraria, sta nella logica dei fatti e delle reazioni a questi. L’attualità dei drammi e morti che si consumano nelle carceri italiane, pur se per un po’ di tempo questo ha fatto eco nell’opinione pubblica, non ha prodotto alcuna modificazione del sistema, neppure la denuncia di tortura presentata dal tesoriere dei Radicali Italiani, Filippo Blengino, che accusa Nordio di consentire condizioni di vita disumane e degradanti nel carcere di Sollicciano e in molti altri istituti penitenziari italiani, ha avuto effetto. In fondo, a parte alcune eccezioni e certi frangenti storici, ai governi non interessano i reclusi, in quanto portano solo perdita di consenso e, nella stragrande maggioranza dei casi poi, sono poveri, molti stranieri, spesso la stessa persona, vite a perdere per una società che non è in grado di integrare, soprattutto non coloro che hanno il torto di essere soprattutto ai margini. E nonostante le informazioni da bollettino di guerra dei morti, l’opinione pubblica è stata ancora una volta privata di un’autentica conoscenza di quali siano le reali condizioni di povertà, di privazione, di sofferenza e dolore in cui versano le persone recluse. La vulnerabilità sociale e la mancanza di risorse, per chi è ristretto nelle carceri italiane, è l’elemento caratterizzante della distanza che li separa dal resto della società, del disinteresse o peggio dell’odio nei loro confronti da parte dei liberi che non hanno nessuna predisposizione ad approfondire la questione. Pensiamo poi a come ora che, anche se la realtà la edulcoriamo, siamo in guerra, come possono sentirsi in un luogo che all’eventuale scoppiare di ordigni li troverebbe senza vie di scampo, condannati a morte! La prigione umilia, annulla, stigmatizza e impone il dolore, la sofferenza, è crudeltà, crea la mancanza di responsabilità verso il proprio comportamento e aumenta la pericolosità di tutti coloro che vi transitano, che diventano a loro volta moltiplicatori irreversibili e potenziali della violenza ricevuta. Il carcere ha una funzione falsa e ideologica perché finge di controllare, evitare e prevenire i reati, mentre li produce e riproduce, con l’aggravante di organizzare scientemente con pretesa fondatezza ed efficacia un’istituzione sostanzialmente improduttiva, se non controproducente, in cui i diritti fondamentali dei suoi ospiti sono pressoché violati. Niente di nuovo, comunque, anche le violenze di questi anni, documentate dalle immagini e suffragate da faldoni di carte processuali, non hanno smosso l’inerzia governativa, come non stanno producendo alcunché da parte dell’attuale compagine che non ha una cultura ancorata alla Costituzione, che nonostante tutto è comunque ancora vigente, e nella quale non troviamo da nessuna parte il termine carcere, cosa che dovrebbe far assai riflettere. Continuare a sostenere il sistema carcerario significa in fondo autorizzare la pratica della cattiveria di Stato, con l’imposizione del dolore e della sofferenza ai ristretti. È possibile vivere in un mondo migliore, invece di reprimere è più utile, sicuro e degno investire in politiche pubbliche per ridurre le diseguaglianze sociali. È urgente scegliere percorsi di pace, in tutti gli angoli del mondo, per ridare dignità alle persone che commettono reati, ridurre la sofferenza e la vendetta di questi luoghi disumani che alimentano solo l’odio, ridare ai condannati la responsabilità per quanto hanno commesso affinché possano essere messi in grado di produrre gesti di restituzione del danno e di riconciliazione. Solo se saremo capaci di abbattere questi muri di vendetta la repubblica Italiana tornerà, almeno per questo verso, a essere uno Stato di diritto. * Portavoce “Movimento No Prison” EMIRATI ARABI UNITI: TRE CITTADINI INDIANI GIUSTIZIATI PER OMICIDIO Tre cittadini indiani sono stati giustiziati di recente negli Emirati Arabi Uniti dopo essere stati riconosciuti colpevoli di omicidio, in casi distinti. Le prime due persone sono state identificate come Muhammed Rinash Arangilottu e Muraleedharan Perumthatta Valappil, nativi del Kerala, le cui esecuzioni sono state praticate il 28 febbraio, dopo l’approvazione da parte della più alta corte degli Emirati, la Corte di Cassazione. Secondo fonti ufficiali, Rinash, nativo del distretto di Kannur, era stato condannato per l'omicidio di un cittadino degli Emirati. Lavorava per un'agenzia di viaggi ad Al Ain. Muraleedharan era stato condannato per l'omicidio di un cittadino indiano. L'ambasciata indiana negli Emirati Arabi Uniti ha confermato le esecuzioni e ha informato le loro famiglie. Il Ministero degli Affari Esteri (MEA) indiano ha affermato che l'ambasciata ha fornito tutta l'assistenza consolare e legale possibile alle due persone. I funzionari sono in contatto con le famiglie in lutto e stanno fornendo loro assistenza. Un comunicato del MEA ha affermato che l'ambasciata indiana aveva presentato richieste di clemenza, tuttavia la più alta corte emiratina ha confermato le condanne capitali. Secondo quanto riportato, la madre di Rinash ha presentato una petizione al Primo Ministro del Kerala Pinarayi Vijayan affinché intervenisse nel caso, sostenendo che suo figlio avesse commesso accidentalmente un omicidio mentre cercava di sfuggire alle torture di un cittadino emiratino con problemi mentali. Il terzo cittadino indiano è stato giustiziato il 15 febbraio per l’omicidio di un neonato di quattro mesi, ha comunicato il Ministero degli Affari Esteri (MEA) indiano all'Alta Corte di Delhi il 3 marzo. Si tratta di Shahjadi Sabbeer Khan, 30 anni, una baby-sitter del distretto di Banda nello stato indiano dell'Uttar Pradesh, che era stata condannata a morte negli EAU lo scorso anno. Dopo aver appreso della sua esecuzione il 3 marzo, la sua famiglia a Banda ha detto che si rivolgerà al governo centrale per chiedere aiuto per riportare a casa il suo corpo. Il MEA ha informato l'Alta Corte di Delhi della sua esecuzione durante un'udienza sulla petizione della famiglia che chiedeva informazioni sullo stato di salute di Shahjadi. I familiari della donna hanno dichiarato di essere rimasti "estremamente scioccati" nell'apprendere dell'esecuzione, dal momento che avevano parlato con Shahjadi al telefono quello stesso giorno (15 febbraio). Suo padre Sabbeer Khan aveva ripetutamente chiesto aiuto alle autorità centrali e statali, sostenendo che la figlia fosse stata falsamente implicata nel caso di omicidio. La famiglia ha sostenuto che fosse stata ingiustamente accusata di aver ucciso il figlio neonato di una coppia per cui lavorava ad Abu Dhabi, la capitale degli Emirati Arabi Uniti, dal 2021. "Il governo ha comunicato all'Alta Corte di Delhi che è stata giustiziata il 15 febbraio, tuttavia non ci hanno mai informato nonostante da mesi facciamo richieste di aiuto. Ci rivolgeremo al Ministero degli Affari Esteri per riportare il corpo di mia sorella in India", ha affermato il fratello di Shahjadi, Shamsher Khan. La donna era rinchiusa nella prigione di Al Wathba ad Abu Dhabi dal 2022, in seguito alla morte del bambino. "Non avevamo altra scelta che rivolgerci all'Alta Corte di Delhi, poiché nessuna autorità si è fatta avanti per aiutarci. Abbiamo contattato incessantemente le autorità locali, statali e centrali per chiedere aiuto. Non siamo riusciti a salvarla", ha dichiarato un altro membro della famiglia. I loro sforzi si sono intensificati dopo che Shahjadi ha informato la famiglia a settembre 2024 che il suo appello era stato respinto e che poteva essere giustiziata in qualsiasi momento. Shahjadi, nubile, era la più giovane delle tre figlie di Shabbir e di sua moglie Nazra Begum. Aveva subito gravi ustioni al viso e ad altre parti del corpo quando aveva sei anni, si è appreso. La famiglia di Shahjadi ha accusato un certo Uzair, noto anche come Panna Chaudhary, originario di Agra, di averla incastrata falsamente nel caso. Sarebbe entrata in contatto con Uzair tramite i social media mentre lavorava con una ONG, hanno detto. Secondo la famiglia, Uzair ha attirato Shahjadi con la promessa di un lavoro ben pagato a casa di suo zio Faiz e sua zia Nazia ad Abu Dhabi, assicurandole che lì avrebbe potuto ricevere anche delle cure per le sue ustioni. La famiglia ha detto che Nazia ha dato alla luce un bambino che è morto a quattro mesi nel 2022, quando Shahjadi lavorava come baby-sitter del bambino. Pochi mesi dopo, Faiz e Nazia accusarono Shahjadi di aver ucciso il loro figlio, costringendola a confessare. A luglio dell'anno scorso, su denuncia di Sabbeer Khan, la polizia di Banda registrò una denuncia contro Faiz, Nazia, Uzair e la madre di Faiz, Anjum Sahana Begum. La denuncia includeva diverse accuse, tra cui quella che Uzair e altri avessero sottoposto Shahjadi a lavoro forzato. Il responsabile delle indagini presentò un rapporto di chiusura sul caso, ha affermato un funzionario della polizia distrettuale di Banda. (Fonti: South First, 06/03/2025; Indian Express, 04/03/2025) IRAN: OLTRE 7.000 PRIGIONIERI NEL BRACCIO DELLA MORTE In una rara e sorprendente ammissione, Ahmad Bokharaee, sociologo affiliato allo Stato, ha riconosciuto la crescente indignazione dell'opinione pubblica contro il regime clericale iraniano, rivelando che oltre 7.000 prigionieri sono attualmente nel braccio della morte, molti dei quali tenuti in isolamento. “All'alba di domani, alcuni di loro potrebbero non essere più in vita”, ha dichiarato Bokharaee in un'intervista rilasciata a Didar News il 26 febbraio, sottolineando l'uso diffuso delle esecuzioni come strumento di repressione. Ha anche rivelato che 54 prigionieri politici sono tra quelli in attesa di esecuzione, sottolineando che ognuno di loro rappresenta molto più di un individuo: “Ognuno di loro è un attivista, quindi non si tratta solo di una persona che viene giustiziata: è un messaggio sociale con ripercussioni diffuse”. Bokharaee ha fatto un'altra ammissione sorprendente: molti iraniani hanno festeggiato l'assassinio di due giudici famosi per aver emesso sentenze capitali. A gennaio, un uomo armato è entrato in un tribunale e ha ucciso i giudici della Corte Suprema Mohammadi Moghisheh e Ali Razini, entrambi profondamente coinvolti nella macchina delle esecuzioni del regime. “Questi due giudici avevano avuto un ruolo importante nel condannare a morte le persone. Quando la gente ha sentito la notizia, è stata felicissima. L'ho detto personalmente ad alcune persone e la loro reazione immediata è stata di felicità - hanno detto: “Se lo sono meritato””, ha rivelato Bokharaee. Bokharaee ha sottolineato che, sebbene l'uccisione di due giudici del regime possa sembrare un evento isolato, le sue cause profonde risiedono in profonde ingiustizie sociali ed economiche. “È stato un atto individuale, ma le sue origini sono sistemiche. Deve aver sentito il peso dell'ingiustizia”, ha affermato, sia che si tratti di pressioni finanziarie che di una più ampia discriminazione sociale. Ha inoltre ipotizzato che l'autore del crimine potrebbe non aver agito solo per una questione personale, ma per un senso di solidarietà più ampio. “È stato egoismo o una forma di altruismo? Questa distinzione è importante”, ha detto, aggiungendo che le condizioni economiche difficili e l'accresciuta consapevolezza politica hanno probabilmente giocato un ruolo. “Se fosse stato ben nutrito e sicuro, forse non avrebbe fatto una cosa del genere. Ma le persone non prendono decisioni del genere senza sapere cosa c'è in gioco”. Le sue osservazioni evidenziano la profondità dell'odio verso l'apparato giudiziario del regime, che è stato a lungo un pilastro della sua repressione. Bokharaee ha anche ridicolizzato il presidente del regime Masoud Pezeshkian per le sue osservazioni fuori dal coro sul futuro del Paese. “Pezeshkian dice che il futuro, comunque lo si immagini, sarà così. Che assurdità! O si tratta di un vuoto discorso motivazionale, o sono le parole di qualcuno che ha la pancia piena e non ha idea di quello che la gente sta passando”, ha detto. Questa affermazione sottolinea l'ampio scollamento tra l'élite al potere in Iran e la realtà delle difficoltà economiche, della repressione e dei crescenti disordini sociali. Gli avvertimenti di Bokharaee riflettono un più ampio timore all'interno del regime che la crescente rabbia pubblica possa esplodere in disordini incontrollabili. La sua ammissione di esecuzioni di massa, di violenza di Stato e di gioia pubblica per la morte dei boia espone la profondità della crisi che attanaglia il regime. Questi avvertimenti, tuttavia, non sono appelli al cambiamento, ma piuttosto tentativi di preservare il sistema mettendo in guardia l'élite al potere dal pericolo crescente. Le fazioni del regime possono differire sulle tattiche, ma condividono lo stesso obiettivo: prevenire l'esplosione sociale che si profila all'orizzonte. (Fonte: ncr-iran.org) CINA: GIUSTIZIATA PER IL RAPIMENTO E TRAFFICO DI 17 BAMBINI Una donna è stata giustiziata in Cina il 28 febbraio 2025 dopo essere stata riconosciuta colpevole del rapimento e traffico di 17 bambini, secondo la dichiarazione di un tribunale. L’esecuzione di Yu Huaying è stata condotta dal Tribunale Intermedio del Popolo di Guiyang, nella provincia sud-occidentale di Guizhou, dopo l’approvazione della condanna a morte da parte della Corte Suprema del Popolo. La procedura è stata supervisionata da procuratori locali. Yu era stata condannata per aver rapito bambini nelle province di Guizhou, Chongqing e Yunnan, insieme a dei complici, e per averli venduti traendone profitto tra il 1993 e il 2003. Era stata condannata a morte per il reato di traffico di bambini in una sentenza di primo grado emessa il 25 ottobre 2024. L’Alta Corte del Popolo della provincia di Guizhou aveva respinto il suo appello e riconfermato la condanna a morte al termine del processo di secondo grado. Era stata anche privata dei suoi diritti politici a vita, subendo la confisca di tutti i beni personali. (Fonte: Xinhua, 28/02/2025) I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA NESSUNO TOCCHI CAINO NEWS è un servizio di informazione gratuito distribuito dalla associazione senza fini di lucro Nessuno Tocchi Caino - Spes contra spem. Per maggiori informazioni scrivi a info@nessunotocchicaino.it |
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