NESSUNO TOCCHI CAINO - IL VENTO DI TRUMP CHE SPINGE ALL’INDIETRO IL CORSO DELLA STORIA: IN 10 STATI SI PROPONE DI EQUIPARARE L’ABORTO ALL’OMICIDIO

 

NESSUNO TOCCHI CAINO – SPES CONTRA SPEM

Associazione Radicale Nonviolenta
Transnazionale Transpartitica

Anno 25 - n. 15 - 12-04-2025

LA STORIA DELLA SETTIMANA

IL VENTO DI TRUMP CHE SPINGE ALL’INDIETRO IL CORSO DELLA STORIA: IN 10 STATI SI PROPONE DI EQUIPARARE L’ABORTO ALL’OMICIDIO

NEWS FLASH

1. ‘QUANDO ALMENO PER UN SECONDO LA TUA MANO SFIORERÀ LA MIA, LA MIA ANIMA POTRÀ TORNARE A ESSERE IN FESTA’
2. AMNESTY INTERNATIONAL: RAPPORTO SULLA PENA DI MORTE NEL 2024
3. MALESIA: NUMERO DEI DETENUTI NEL BRACCIO DELLA MORTE CROLLATO DEL 90%
4. IRAN: LA DETENUTA POLITICA CURDA PAKHSHAN AZIZI È A RISCHIO IMMINENTE DI ESECUZIONE




IL VENTO DI TRUMP CHE SPINGE ALL’INDIETRO IL CORSO DELLA STORIA: IN 10 STATI SI PROPONE DI EQUIPARARE L’ABORTO ALL’OMICIDIO
Valerio Fioravanti

In questo strano momento storico degli Stati Uniti, tutto “rimbalza”. E i rimbalzi, come sanno i giocatori di pallacanestro, sono una cosa molto importante. La nazione delle Grandi Aperture, sta diventando quello delle Grandi Chiusure. Sono fluttuazioni ricorrenti nella storia. C’è una velocità giusta per i cambiamenti: cambiamenti troppo lenti generano rivolte e rivoluzioni le quali, a causa di cambiamenti troppo veloci, generano poi “restaurazioni”.
Negli Stati Uniti molti politici prendono atto della lezione “restauratrice” del Trumpismo, e vedendo che elettoralmente funziona, fanno a gara per chi propone il numero maggiore di passi indietro. Solo per fare un esempio, il sindaco di San Francisco, la città più super-progressista degli Stati Uniti, ha appena deciso di tagliare i fondi alle ONG che forniscono assistenza ai tossicodipendenti, ritenendo che una politica “troppo accogliente” abbia finito per attirare in città troppe migliaia di “sbandati” anche da altre regioni.
Se addirittura i politici di solida fede Democratica fanno passi indietro, figuriamoci cosa possono fare i Repubblicani. Diversi stati a maggioranza “trumpiana” hanno ripristinato la fucilazione per risolvere il fatto che le multinazionali dei farmaci creano da diversi anni problemi alle carceri che vogliono comprare i componenti per le iniezioni letali. Gli stessi Stati stanno reintroducendo la pena di morte anche per reati in cui la vittima non è stata uccisa. Alcune leggi del genere già esistevano (riguardavano di solito lo stupro a danno di minorenni) ma erano tutte state dichiarate incostituzionali dalla Corte Suprema nel 2008 perché la pena capitale deve essere riservata solo ai reati “peggiori tra i peggiori”. Oggi gli stati “conservatori” riapprovano leggi contro gli stupri su minori, e confidano nel fatto che quando queste leggi arriveranno al vaglio costituzionale, stavolta andrà diversamente.
Ma, soprattutto, almeno 10 Stati stanno affrontando proposte di legge per equiparare l’aborto all’omicidio. In Georgia, Kentucky, Missouri, South Carolina, Texas, Oklahoma, Indiana, Iowa, Idaho e North Dakota i parlamentari Repubblicani sono tornati alla carica con questo tipo di legge, che non è una novità assoluta per gli Stati Uniti, ed è anzi una costante nelle comunità rurali, ma mai con questi numeri. Diciamolo subito: nessuna di queste leggi è previsto che riesca a passare quest’anno. Ma, come dicono i fautori, intanto “è l’inizio di un percorso”. Con molta coerenza, alcuni cristiani hanno una posizione cosiddetta “pro-vita”, e in questa visione, che lascia solo a Dio il diritto di vita e di morte, sono contro l’aborto, contro l’eutanasia, ma anche contro la pena di morte. Questi altri “cristiani” invece, sembrano di primo acchito meno coerenti, e sono contro l’aborto, ma a favore della pena di morte.
Stiamo però attenti a non scandalizzarci troppo rapidamente. Molti Stati Usa hanno già in vigore da anni leggi che riconoscono personalità giuridica ai feti. Per “personalità giuridica” si intende che se un assassino spara a una donna e uccide sia lei sia il feto che porta in grembo, viene processato per duplice omicidio. Se spara alla donna e lei sopravvive, ma muore il feto, sarà comunque processato per omicidio. Fino a qui sembra una legge positiva, e solo ora ci si accorge che porta con sé ulteriori e forti implicazioni. Nessuno fino a oggi è stato condannato a morte per aver “solo” ferito una donna e aver causato così la morte del feto, ma in linea di principio sarebbe possibile. Ora le nuove proposte di legge escono dal classico contesto della “violenza di genere”, e sembrano voler dire che non è detto che sia un assassino “esterno” a uccidere un feto: potrebbe essere la madre stessa, ed eventuali medici e infermieri. Potrebbe non essere una “aggressi one”, ma una “autoaggressione”. Tanto sembra giusto punire un aggressore esterno che causi la morte di un feto, tanto sembra assurdo punire allo stesso modo una donna che non si ritenga pronta a diventare madre. Ma quasi nessuno, tra quelli in buona fede, si era accorto che i due tipi di legge sono separati solo da un leggero diaframma.
A giudicare da un sondaggio del 2024, l’84% degli statunitensi non crede che le donne che hanno abortito “debbano affrontare sanzioni, multe o carcere”. Immagino che se i sondaggisti avessero aggiunto anche “essere condannate a morte” il risultato sarebbe stato ancora migliore. Queste nuove leggi non stanno passando, e verosimilmente non passeranno per molto tempo ancora, anche grazie al fatto che molti parlamentari conservatori non le stanno votando. Rimane lo sconcerto per il fatto che qualcuno possa averle concepite. Ma come stiamo tutti sperimentando nell’ultimo periodo, non è l’unico sconcerto che ci tocca.



NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

‘QUANDO ALMENO PER UN SECONDO LA TUA MANO SFIORERÀ LA MIA, LA MIA ANIMA POTRÀ TORNARE A ESSERE IN FESTA’
Durante l’ultimo Laboratorio di Nessuno tocchi Caino nel Carcere di Opera, fabbrica permanente di pensieri e sentimenti preziosi, un detenuto ha chiesto di parlare per cantare una storia. Il racconto di Daniele Falanga è la rappresentazione perfetta del potere della cultura. In pochi luoghi come nel carcere si percepisce l’autentica potenza liberatrice della cultura, della lettura, dell’istruzione, del teatro visto e praticato. Gli strumenti culturali e la loro assenza sono un elemento costante della esperienza carceraria. Sono tanti i detenuti che scoprono in carcere la potenza della poesia, dei racconti e della formazione. E ti spiegano come nelle loro vite non avessero mai conosciuto queste possibilità. Chi poi si trova costretto in detenzioni lunghe spesso si avvicina alla cultura come unico spazio possibile di evasione e scopre la sua potenza trasformatrice e si trasforma, ragion per cui sarebbe così importante attuare il dettato costituzionale e dare davvero a ognuno l a possibilità di essere nel tempo valutato nuovamente per scoprire la nuova persona che abbiamo davanti. Perché tutti cambiamo e nessuno dovrebbe essere congelato nello spazio e nel tempo, inchiodato al proprio reato. Proviamo a immaginare noi quante volte siamo cambiati nel corso della nostra vita. Il cambiamento è la costante. E se fuori dalle celle la cultura viene sempre più considerata inutile e si vive una vera emergenza culturale e cognitiva, è proprio dal carcere che ci arriva un messaggio che parla a ognuno e a ciascuno, se siano disposti ad ascoltare.
Solo la cultura può rendere liberi. Ed è questa realtà liberata che ci racconta Colibrì, portandoci in volo con lui.
Roberto Rampi, Segreteria di Nessuno tocchi Caino, Garante dei detenuti di Monza e Brianza

Daniele Falanga, Colibrì
La maggior parte delle persone immaginano il carcere come un luogo chiuso e molto restrittivo, e infatti lo è. Non c’è nulla di costruttivo. Quando sei rinchiuso in una cella c’è una cosa però che ho imparato nell’arco delle mie permanenze presso i vari istituti, che purtroppo da tantissimi anni mi accolgono. Nessun istituto penitenziario, nessun tipo di struttura ha mai potuto evitare che io evadessi e quindi ne ho sempre approfittato, uscendo anche spesso dal nostro Paese.
Quanti ricordi piovono nella mia mente. Posso dire di essere stato quasi ovunque. La bellissima Ibiza, piena di luci e grandi locali, la romantica Parigi, la grandissima Hollywood. Ad ogni viaggio, e dunque ad ogni evasione, usavo anche tanti mezzi di trasporto, uno diverso dall’altro. Dopo essere stato a bordo di una bellissima nave, il mezzo più bello che provai fu sicuramente l’aereo. Purtroppo la vita non sempre ci spinge ad andare verso la direzione giusta, soprattutto se in quel momento a trasportarti non è un mezzo pubblico, ma bensì il trasporto del momento.
Avevo solo 17 anni quando ho deciso che ti saresti chiamata Rebecca. Le preoccupazioni erano tante, ma la gioia di diventare papà all’epoca fu fortissima. L’anno dopo ho compiuto 18 anni. Mi arrestarono e qualcuno decise bene di allontanarti da me, senza pensare nemmeno per un secondo che ero solo un ragazzino. Oggi posso guardare indietro, ma non posso tornarci e quindi mi sforzo a guardare avanti. Tu sei cresciuta ed io anche. Oggi, di fronte a questo pubblico evado. Evado immaginandoti qui in prima fila, bella e sorridente, felice di ascoltarmi.
Il tempo sta passando, e poi grazie a Dio tutte queste evasioni non le pagherò mai, perché sono state sempre e solo frutto della mia mente, della mia immaginazione. In realtà, la verità è un’altra: non ho mai preso l’aereo, non sono mai stato a bordo di una nave, so poco della vita esterna, sulla tecnologia. E poi: sono rinchiuso nella Casa di Reclusione di Opera e alle volte mi sento disperso. Figuriamoci se fossi uscito dall’Italia. Chissà, forse mi sarei perso.
Per ora ti posso assicurare solo questo. Ogni esperienza nuova che mi aspetta la vorrei condividere con te. Come sempre ho immaginato, in tutti questi ultimi tredici anni trascorsi, il nostro incontro. Il tempo sta passando ed ora che so che sei alla ricerca della verità, non attendo altro che quel magico momento. Solo allora, quando almeno per qualche secondo la tua mano sfiorerà la mia, la mia anima potrà tornare ad essere sempre in festa. E questa volta ci voglio credere. E non con la speranza, ma con la certezza: “Ca, aret’ ‘e sbarre e sott’ ‘o cielo, ce state tu e ‘o mare fore”.
Nel 2023 provai a scrivere una lettera. Poi, non potendola inoltrare, il mio dolore e la mia veracità l’hanno trasformata in un racconto. Oggi, nel 2025, finisco di evadere e sognare senza confini, perché, ancora non ho sfiorato la sua mano, ma ci ho parlato. E anche se nel mentre ascoltavo la sua voce non mi sembrava vero, da oggi tutto per me diventa un po’ più chiaro.



AMNESTY INTERNATIONAL: RAPPORTO SULLA PENA DI MORTE NEL 2024
Il numero di esecuzioni a livello globale ha raggiunto nel 2024 il livello più alto dal 2015, con oltre 1500 persone messe a morte in 15 stati. È quanto emerso dal rapporto annuale sulla pena di morte di Amnesty International, intitolato “Condanne a morte ed esecuzioni 2024”.
Secondo il rapporto, nel 2024 sono state registrate almeno 1518 esecuzioni, il dato più alto dal 2015, quando se ne contarono almeno 1634. La maggior parte delle esecuzioni è avvenuta in Medio Oriente. Tuttavia, per il secondo anno consecutivo, il numero degli stati che hanno eseguito condanne a morte è rimasto il più basso mai registrato.
I dati noti non includono le migliaia di persone che si crede siano state messe a morte in Cina, che continua a essere lo stato con il più alto numero di esecuzioni al mondo, così come nella Corea del Nord e in Vietnam, dove si ritiene che la pena di morte venga ancora ampiamente applicata. Le crisi in corso in Palestina e in Siria non hanno permesso ad Amnesty International di confermare numeri precisi.
Iran, Iraq e Arabia Saudita sono stati responsabili dell’aumento complessivo delle esecuzioni note. Nell’insieme, questi tre stati hanno registrato l’impressionante totale di 1380 esecuzioni. L’Iraq ha quasi quadruplicato il numero delle esecuzioni (da almeno 16 ad almeno 63), l’Arabia Saudita ha raddoppiato il suo totale annuo (da 172 ad almeno 345), mentre l’Iran ha messo a morte 119 persone in più rispetto al 2023 (da almeno 853 ad almeno 972), totalizzando il 64 per cento di tutte le esecuzioni note.
“La pena di morte è una pratica aberrante che non ha posto nel mondo di oggi. Sebbene in alcuni stati la segretezza continui a ostacolare il monitoraggio internazionale, rendendo difficile valutare l’effettiva entità delle esecuzioni, è evidente che quelli che mantengono la pena di morte costituiscono una minoranza sempre più isolata. Con soli 15 stati ad aver eseguito condanne a morte nel 2024, il numero più basso mai registrato per il secondo anno consecutivo, si conferma la tendenza all’abbandono di questa punizione crudele, inumana e degradante”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.
“Iran, Iraq e Arabia Saudita sono stati responsabili dell’aumento vertiginoso delle esecuzioni, portando a termine oltre il 91 per cento di quelle documentate, violando i diritti umani e togliendo la vita per accuse legate alla droga e di terrorismo”, ha aggiunto Callamard.
I cinque stati con il più alto numero di esecuzioni registrato nel 2024 sono stati Cina, Iran, Arabia Saudita, Iraq e Yemen.

La pena di morte come strumento di repressione

Nel corso del 2024, Amnesty International ha osservato come leader politici abbiano strumentalizzato la pena di morte con il falso pretesto di migliorare la sicurezza pubblica o per seminare paura tra la popolazione. Negli Stati Uniti, dove le esecuzioni sono in costante aumento dalla fine della pandemia da Covid-19, sono state messe a morte 25 persone, contro le 24 del 2023. Il neoeletto presidente Donald Trump ha più volte invocato la pena di morte nei confronti di “stupratori violenti, assassini e mostri”. Le sue dichiarazioni disumanizzanti hanno alimentato la falsa convinzione che la pena capitale abbia un effetto deterrente unico contro la criminalità.
In alcuni stati del Medio Oriente la pena di morte è stata usata per mettere a tacere difensori dei diritti umani, dissidenti, manifestanti, oppositori politici e minoranze etniche.

“Coloro che hanno osato sfidare le autorità hanno subito la punizione più crudele, in particolare in Iran e in Arabia Saudita, dove la pena di morte è stata impiegata per ridurre al silenzio chi ha avuto il coraggio di esprimersi”, ha detto Callamard.
“Nel 2024 l’Iran ha continuato a usare la pena di morte contro coloro che avevano messo in discussione l’autorità della Repubblica islamica durante le manifestazioni del movimento ‘Donna Vita Libertà’. Lo scorso anno due di queste persone, tra cui un giovane con disabilità mentale, sono state messe a morte in relazione alle proteste, a seguito di processi iniqui e di ‘confessioni’ estorte con la tortura, dimostrando fino a che punto le autorità siano state disposte a spingersi per rafforzare la loro presa sul potere”, ha proseguito Callamard.
Le autorità saudite hanno continuato a utilizzare la pena di morte per reprimere il dissenso politico e punire appartenenti alla minoranza sciita che avevano partecipato a proteste ‘contro il governo’ tra il 2011 e il 2013. Ad agosto le autorità hanno messo a morte Abdulmajeed al-Nimr per reati legati al terrorismo e alla sua presunta adesione ad al-Qaeda, nonostante i primi atti giudiziari avessero fatto riferimento esclusivamente alla sua partecipazione alle proteste.
Nella Repubblica Democratica del Congo il governo ha annunciato l’intenzione di riprendere le esecuzioni, mentre le autorità militari del Burkina Faso hanno dichiarato di voler reintrodurre la pena di morte per i reati comuni.

Aumento delle esecuzioni per reati legati alla droga

Oltre il 40 per cento delle esecuzioni avvenute nel 2024 ha riguardato, illegalmente, reati legati alla droga. Secondo il diritto internazionale dei diritti umani e gli standard internazionali, la pena di morte deve essere limitata ai “reati più gravi” e le condanne a morte per reati legati alla droga non raggiungono questa soglia.
“Le esecuzioni per reati legati alla droga sono state frequenti in Cina, Iran, Arabia Saudita e Singapore e, sebbene non sia stato possibile confermarlo, probabilmente anche in Vietnam. In molti contesti, condannare a morte persone per reati legati alla droga ha un impatto sproporzionato su persone provenienti da contesti svantaggiati, senza alcuna prova che ciò contribuisca a ridurre il traffico di stupefacenti”, ha dichiarato Callamard.
“I leader politici che promuovono la pena di morte per reati legati alla droga propongono soluzioni inefficaci e illegali. Gli stati che stanno valutando di introdurre la pena capitale per questi reati, come Maldive, Nigeria e Tonga, devono essere denunciati e incoraggiati a mettere i diritti umani al centro delle loro politiche sulle droghe”, ha aggiunto Callamard.

La forza della mobilitazione

Nonostante l’aumento delle esecuzioni, solo 15 stati hanno portato a termine condanne a morte, il numero più basso mai registrato per il secondo anno consecutivo. Ad oggi, 113 stati hanno abolito completamente la pena di morte e in totale 145 l’hanno eliminata dalle leggi o dalla prassi.
Nel 2024 lo Zimbabwe ha promulgato una legge che ha abolito la pena di morte per i reati comuni. Per la prima volta, più di due terzi di tutti gli stati membri delle Nazioni Unite hanno votato a favore della decima risoluzione dell’Assemblea generale per una moratoria sull’uso della pena di morte. Le riforme in materia di pena di morte adottate in Malesia hanno inoltre portato a una riduzione di oltre 1000 persone della popolazione dei bracci della morte.
Il 2024 ha anche mostrato la forza della mobilitazione. A settembre è stato assolto Hakamada Iwao, che aveva trascorso quasi cinque decenni nel braccio della morte in Giappone. La tendenza sta proseguendo nel 2025: a marzo Rocky Myers, un nero condannato a morte in Alabama, Usa, nonostante gravi irregolarità verificatesi nel processo, ha ottenuto la commutazione della condanna a morte in ergastolo grazie alle richieste della sua famiglia e del suo team legale, al sostegno di un ex giurato, di attivisti locali e della comunità internazionale.
(Fonte: Amnesty International, 08/04/2025)



MALESIA: NUMERO DEI DETENUTI NEL BRACCIO DELLA MORTE CROLLATO DEL 90%
Nel giro di due anni dall'abolizione in Malesia della pena di morte obbligatoria da parte dell'amministrazione del Primo Ministro Datuk Seri Anwar Ibrahim, il numero di prigionieri del braccio della morte è crollato di quasi il 90 percento, il segno più chiaro che il Paese si sta allontanando dalla pena capitale, anche se questa rimane legale.
I dati presentati al Parlamento durante la seduta di febbraio-marzo 2025 hanno mostrato un forte aumento delle commutazioni delle condanne a morte nei sei mesi successivi all'abrogazione della pena di morte obbligatoria da parte di Putrajaya.
Le commutazioni sono avvenute dopo che i condannati a morte hanno presentato ricorsi per una nuova condanna e i giudici li hanno accolti.
La maggior parte delle condanne è stata commutata in pene detentive comprese tra 20 e 40 anni, con queste ultime spesso riservate a reati gravi come l'omicidio.
A gennaio 2024 c’erano 1.275 detenuti nel braccio della morte, con 936 che avevano presentato richiesta di nuova condanna.
Al 1° gennaio 2025, il numero totale dei detenuti nel braccio della morte era sceso a soli 140, con un vistoso calo dell'87 percento.
In totale, 860 condanne a morte sono state commutate in 12 mesi, con solo 50 mantenute.
Nel frattempo, i tribunali hanno respinto 22 domande per motivi amministrativi, impedendone la ripresentazione.
Quattro detenuti sono morti in prigione prima che le loro domande di nuova condanna potessero essere approvate.
I dati mostrano che i giudici hanno in gran parte mantenuto le condanne a morte emesse in casi di omicidio.
Il numero di condannati a morte per traffico di droga è invece diminuito significativamente da 840 dell’anno scorso a 40 al 1° gennaio 2025, il tasso più alto di commutazioni tra tutti i reati.
Al contrario, le condanne a morte per omicidio hanno avuto il tasso più alto di mantenimento. Il 1° gennaio 2024, erano 435 i prigionieri nel braccio della morte per omicidio, dei quali 335 hanno ricevuto la commutazione 12 mesi dopo.
In totale, 100 condanne a morte sono state mantenute.
Per quanto riguarda il genere, i detenuti nel braccio della morte di sesso maschile hanno avuto il tasso più alto di mantenimento della pena, pari a 137. Solo tre dei restanti prigionieri sono donne.
Gruppi contrari alla pena capitale come Hayat, che lavora con le famiglie dei condannati a morte, hanno affermato che i dati segnalano progressi ma evidenziano anche lacune.
Ad esempio, l'assenza di sentenze scritte per i casi di nuova sentenza è stata un'occasione persa per fornire indicazioni per una discrezionalità equa e giusta della sentenza, ha affermato il gruppo.
C'è anche ambiguità in merito alla nuova condanna per i minorenni e per le persone con problemi di salute mentale.
Le leggi consentono ancora per questi gruppi la reclusione a tempo indeterminato e la pena di morte.
Un altro problema è la fustigazione, che non è stata abrogata nonostante il provvedimento di abolizione della pena di morte obbligatoria. I gruppi per i diritti umani hanno definito la fustigazione come disumana.
(Fonte: Malaymail, 05/04/2025)



IRAN: LA DETENUTA POLITICA CURDA PAKHSHAN AZIZI È A RISCHIO IMMINENTE DI ESECUZIONE
La detenuta politica curda Pakhshan Azizi è a rischio imminente di esecuzione in Iran dopo che il suo secondo appello è stato respinto dalla Corte Suprema.
Iran Human Rights ribadisce che la condanna capitale di Pakhshan Azizi, e la sua conferma, fanno parte della politica di intimidazione della Repubblica islamica a seguito delle proteste nazionali “Donna, Vita, Libertà”.
Sottolineando il forte aumento delle esecuzioni nel 2024, in particolare di donne, invita la comunità internazionale ad agire immediatamente per fermare l'esecuzione e revocare la condanna a morte di Pakhshan Azizi.
Il Direttore di IHR, Mahmood Amiry-Moghaddam, ha dichiarato: “La condanna a morte di Pakhshan Azizi non ha alcuna validità legale e la sua conferma per la seconda volta dimostra che il governo non vede altra strada che l'esecuzione e l'ulteriore repressione. La minaccia dell'esecuzione di Pakhshan è seria e possiamo evitarla solo aumentando il costo politico attraverso le proteste pubbliche e la pressione internazionale”.
La seconda richiesta di appello del detenuto politico curdo Pakhshan Azizi è stata respinta dalla Corte Suprema senza considerare i numerosi difetti del caso.
Maziyar Tataei, avvocato di Pakhshan Azizi, ha condiviso la notizia sulla sua pagina personale X, scrivendo: “La sezione della Corte Suprema che si occupa del caso ha respinto la seconda richiesta di nuovo processo da parte degli avvocati di Pakhshan Azizi senza nemmeno richiedere i documenti del processo e ha respinto le argomentazioni della difesa come prive di fondamento”. Un simile ragionamento, da parte della sezione di revisione, richiede necessariamente l'accesso ai documenti del processo, cosa che purtroppo non è avvenuta”.
Uno degli altri suoi avvocati, Amir Raeesian, ha pubblicato in precedenza un'immagine della decisione della Corte Suprema che respinge la prima richiesta di appello. Il documento ha rivelato che il giudice della sezione 39 della Corte Suprema ha erroneamente pensato che Azizi fosse un membro dell'ISIS, senza sapere che il suo lavoro era umanitario e finalizzato ad aiutare gli sfollati dagli attacchi dell'ISIS.
In parte del suo tweet, aveva scritto: “La fretta di emettere una sentenza ha portato a gravi malintesi. Mentre la nostra difesa si è concentrata su gruppi come PJAK o KJAR, il giudice ha frainteso le prove e ha erroneamente equiparato KJAR a ISIS”.
Pakhshan Azizi, originaria di Mahabad, è stata arrestata a Teheran insieme al padre, Aziz Azizi, alla sorella Parshang Azizi e al cognato Hossein Abbasi il 4 agosto 2023.
Dopo l'arresto, Pakhshan Azizi è stata detenuta per cinque mesi nel reparto 209 della prigione di Evin dell'IRGC e in quel periodo le è stato vietato il diritto di visita, comprese le visite con i suoi avvocati. Successivamente è stata trasferita nel reparto femminile della prigione di Evin.
Il processo si è svolto il 16 e 17 giugno 2024.
Pakhshan è stata condannata a morte con l'accusa di “baghy (ribellione armata) attraverso l'appartenenza a gruppi di opposizione armata” dalla sezione 26 del Tribunale rivoluzionario di Teheran, presieduta dal giudice Afshari. La sentenza è stata notificata ai suoi avvocati il 23 luglio. La sentenza è stata confermata dalla Sezione 39 della Corte Suprema all'inizio di gennaio.
Pakhshan Azizi era già stata arrestata nel 2009 per attività politiche ed era stata rilasciata su cauzione dopo quattro mesi.
(Fonte: IHR, 06/04/2025)

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