Nessuno tocchi Caino - UNA STORIA DI IMMIGRAZIONE E DI CARCERE, MA ANCHE D’AMORE

 

NESSUNO TOCCHI CAINO – SPES CONTRA SPEM

Associazione Radicale Nonviolenta
Transnazionale Transpartitica

Anno 25 - n. 24 - 05-07-2025

LA STORIA DELLA SETTIMANA

UNA STORIA DI IMMIGRAZIONE E DI CARCERE, MA ANCHE D’AMORE

NEWS FLASH

1. LA CURA ARCHITETTONICA DEL CARCERE È VANA SE LA SUA UTENZA NON È CONSIDERATA
2. EMERGENZA CARCERI: LA RISPOSTA DEL GOVERNO È UN DOCUMENTO SENZ’ANIMA. E BERNARDINI CONTINUA LO SCIOPERO DELLA FAME
3. COREA DEL SUD: RESTANO IN 57 I PRIGIONIERI NEL BRACCIO DELLA MORTE
4. VIETNAM: 11 CONDANNATI A MORTE PER TRAFFICO DI DROGA

I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA

‘SALUTE È ACCOGLIENZA’ 5 LUGLIO A REGGIO CALABRIA




UNA STORIA DI IMMIGRAZIONE E DI CARCERE, MA ANCHE D’AMORE
Imran Faisal*

Faccio parte di una famiglia pakistana numerosa. Sono il terz’ultimo di sette figli. Ho quattro sorelle e due fratelli. Il più grande dei miei fratelli aiutava mio padre ad accudire il pascolo. I terreni non erano di proprietà di mio padre, ma venivano presi in affitto. Verso la fine del 1999 Tasadiq, il mio fratello maggiore, lascia il Pakistan, rimane per tre anni in Grecia, e poi raggiunge l’Italia, dove ancora vive. Così decido di aiutare mio padre nei campi, quindi studio e lavoro, fino a quando, dopo il 2004, mio padre si ammala a causa dell’uso di prodotti chimici e di fertilizzanti che gli rovinano gli occhi. Sono quindi costretto a lasciare la scuola per dedicarmi totalmente al lavoro nei campi e con gli animali. Ma dopo pochi anni i proprietari delle terre iniziano a far costruire case e a ridurre le terre da destinare a pascolo.
Non vedendo un futuro in Pakistan, ho cercato di raggiungere la Grecia attraversando l’Iran a piedi, ma sono stato arrestato e imprigionato in un carcere militare per una settimana, e poi rispedito in Pakistan. Dopo venti giorni ho riprovato ad attraversare l’Iran a piedi e in macchina, sotto la guida di trafficanti che avevo pagato. Per attraversare l’Iran ho pagato duemila euro, la stessa somma per attraversare la Turchia e la Grecia.
Il viaggio è durato 23 giorni, e ho dormito sulle montagne, nei campi e nelle stalle. Arrivato a Tino, in Grecia, sono andato a dormire nella casa di un amico di mio padre. C’erano sei persone e io mi occupavo di cucinare e pulire per tutti perché non conoscevo la lingua e non avevo un lavoro. Non trovando lavoro sono andato a Rodi, avevo in tasca 75 euro e ho dormito per tre giorni nei parchi; poi, un pakistano, che ho poi scoperto essere un trafficante, mi ha ospitato in una casa con altri suoi complici. Per stare lì dovevo pagare con i soldi che avrei avuto una volta trovato lavoro. Quando ho trovato lavoro come imbianchino, avrei voluto lasciare la casa gestita da quelle persone, ma Rodi è piccola ed era sotto il controllo delle stesse persone che mi ospitavano.
Un giorno mi hanno chiesto di andare a prendere al porto un pakistano che era appena arrivato da Tino. Tornato a casa dopo il lavoro, sono stato arrestato con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e rilasciato dopo quattro giorni. Per un mese siamo stati sottoposti a fermo obbligatorio; dopo, i veri trafficanti sono scappati, io invece sono rimasto perché pensavo che non ci fossero più problemi. Un parente del mio datore di lavoro mi ha offerto una mansarda dove vivere perché apprezzava il mio lavoro. A Rodi incontro una donna italiana di nome Veronica, ci innamoriamo e ci sposiamo. Dopo un anno, dopo aver ottenuto il visto, partiamo per l’Italia. Sono arrivato in Italia alla fine del 2011. In Italia ho trovato lavoro come giardiniere.
Prima lavoravo in nero e poi, nel 2017, sono stato messo in regola. Alla fine del 2017 ho chiesto la cittadinanza italiana, mi hanno chiesto la fedina penale e in quel frangente ho scoperto che il processo era andato avanti e nel 2022 mi hanno arrestato anche se per un solo giorno. Tornato in libertà ho continuato a lavorare in attesa della pronuncia della Cassazione.
Il 19 giugno 2024 è arrivata la sentenza definitiva della Cassazione e sono stato arrestato. Fino ad allora abitavo a Saronno con mia moglie, che nel 2022 ha subito un grave danno a una gamba a causa di un incidente automobilistico. Di recente ho ottenuto il trasferimento dal Carcere di Opera al Carcere di Bollate, più favorevole per mia moglie per venire a colloquio. La mia unica ragione di vita è mia moglie Veronica. Io so di essere una buona persona e spero di poter ottenere quanto prima i benefici di legge che mi permettano di starle vicino.
In Italia ho trovato persone che mi hanno accolto, sono stato apprezzato e valorizzato nel mio lavoro, soprattutto nella cooperativa Ozanam che mi ha assunto. Ho sperimentato con i miei compagni di lavoro la forza di lavorare in squadra fidandosi l’uno dell’altro. Importante è stato il ruolo di Gianluca, il mio responsabile del lavoro, dal quale ho imparato tanto. E poi, quando arrivavo stanco dal lavoro c’era mia moglie, che mi incoraggiava a buttare il cuore oltre l’ostacolo e sognare di diventare italiano. Veronica mi ha preso per mano e mi ha fatto affrontare tutto con la forza dell’amore.

* attualmente detenuto nel carcere di Bollate



NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

LA CURA ARCHITETTONICA DEL CARCERE È VANA SE LA SUA UTENZA NON È CONSIDERATA
Cesare Burdese*

Sono ritornato alla Casa Circondariale di Como, in visita con una folta delegazione di Nessuno tocchi Caino e della Camera Penale di Como e Lecco. Nel recente passato ho frequentato quel luogo per qualche tempo perché incaricato di elaborare un progetto di riqualificazione spaziale. Un progetto molto ambizioso che per questo alla fine si è rivelato anche altrettanto velleitario.
Era ambizioso perché pensato in maniera inedita con l’intento di portare la progettistica carceraria nazionale nel solco delle buone prassi internazionali, per il benessere materiale e psicologico dell’utenza tutta, attraverso le indicazioni delle neuroscienze applicate all’architettura, ancorché penitenziaria. Si è rivelato velleitario perché l’idea sottovalutava l’assenza di una reale volontà di cambiamento da parte di quanti istituzionalmente hanno in carico la vicenda architettonica penitenziaria, nel vasto deserto della cultura architettonica nazionale in tema di carcere. Dopo l’elaborazione del progetto nulla è più successo: il naufragio è stato inevitabile anche per i cambi di guardia ai vertici dell’amministrazione penitenziaria e della politica di governo. I nauseabondi odori del carcere hanno avuto il sopravvento sull’odore della calce.
Il Carcere di Como, edificato negli anni bui del terrorismo e della criminalità organizzata, insieme allo scandalo delle “Carceri d’oro”, continuerà a essere la rappresentazione di una realtà che anche sul piano materiale tradisce il monito Costituzionale e le finalità della pena volta al reinserimento sociale. I suoi muri sono meramente afflittivi, certamente sicuri ma di un istituto penitenziario fortemente sovraffollato e carente di adeguate dotazioni spaziali per le attività formative e lavorative. Predisposto a ospitare 226 detenuti, al momento della visita, l’istituto ne conteneva 428 (tra maschi e femmine), dei quali 183 stranieri.
Questo stato di cose comporta il fatto di ospitare contemporaneamente tre persone in celle da nove metri quadri ciascuna che, dedotta la superficie degli ingombri degli arredi fissi, si riducono a un metro quadro di spazio vitale a disposizione di ciascun detenuto, contro i tre metri quadri previsti per legge. A questa criticità va aggiunto che il servizio igienico di ogni cella, peraltro per lo più sprovvisto di acqua calda e di doccia (contrariamente a come la norma sin dal 2000 prevede), viene obbligatoriamente usato per le funzioni corporali e come cambusa e cucina.
Tralascio la descrizione dello stato materiale dei luoghi visitati, caratterizzati dalle criticità presenti indistintamente in tutte le nostre carceri: degrado fisico e mancanza di privacy, di verde, di luce naturale, di igiene, di ambienti minimamente accoglienti, di accorgimenti per normalizzare la quotidianità detentiva, di visuali libere, ecc., con il risultato di rendere la scena materiale della detenzione disumana e indegna per tutti.
L’accumularsi delle mie visite alle carceri nazionali, incrementate negli ultimi anni grazie a quelle con Nessuno tocchi Caino, ha consolidato in me la visione di una realtà dove il degrado umano ha il sopravvento su quello dei muri. Mi chiedo a questo punto che cosa valga sanare quei muri se il degrado umano resta irrisolto. A Como, in una sezione cosiddetta “a trattamento avanzato” (sic!), ho incontrato un detenuto ventenne al quale il compagno di cella aveva dato fuoco nel sonno. Grazie all’intervento degli agenti, in quel frangente in servizio nella sezione, è stato poi curato dalle ustioni in ospedale e miracolosamente salvato. Ora quel ragazzo è tornato in carcere portando con sé i vistosi segni delle ustioni che lo hanno deturpato e letteralmente annerito in ogni parte del corpo. Egli, davanti a me, si lamentava delle piaghe che sulla schiena gli procuravano ancora dolore e perché le sue richieste di essere alleviato da quel dolore continuavano a rimanere inascolt ate.
Sono sempre più convinto che nelle nostre carceri, la priorità non sia dare qualità ai muri ma alle relazioni interpersonali, tra i detenuti e tra i detenuti e i detenenti. Non potranno certamente i muri riqualificati, da soli riscattare la condizione di “rifiuto sociale” che ormai caratterizza la maggioranza di quanti finiscono in carcere. Il recente avvio di nuove edificazioni carcerarie, gli ampliamenti con moduli prefabbricati tutto cemento – stile Albania tanto per intenderci – programmati per risolvere il sovraffollamento carcerario secondo soluzioni architettonicamente regressive e di puro contenimento incapacitante, mal si concilia con una simile visione. È la rappresentazione plastica dell’insipienza di chi le ha concepite e non mi rassegno di pensare alla loro ineluttabilità in quanto le situazioni storiche oggettive del momento lo richiedono. Forse ci possono indicare la via le parole nel Barone Rampante di Italo Calvino: “Se alzi un muro pensa a cosa lasc i fuori”.

* Architetto



EMERGENZA CARCERI: LA RISPOSTA DEL GOVERNO È UN DOCUMENTO SENZ’ANIMA. E BERNARDINI CONTINUA LO SCIOPERO DELLA FAME
Damiano Aliprandi su Il Dubbio del 3 luglio 2025

Quando il 21 gennaio 2025 Roberto Giachetti si alzò dai banchi di Montecitorio per presentare l'ordine del giorno numero 9/ 2196/ 21, sapeva benissimo cosa stava facendo. Non l'ennesima mozione di principio, ma un impegno vincolante per il governo.
E ora, cinque mesi dopo, quella strategia parlamentare inizia a dare i suoi frutti. Il documento che è arrivato sulla scrivania del deputato di Italia Viva qualche giorno fa racconta molto di più di una semplice procedura burocratica. Racconta di un sistema di controllo che funziona e di una battaglia politica che entra nel vivo.
Ma, nel contempo, quello che non convince è il contenuto del documento, che più che concreti passi avanti sembra un report di buone intenzioni. Partiamo dai fatti. L'ordine del giorno 9/ 2196/ 21, firmato da Giachetti insieme a Faraone, Gadda, Del Barba, Bonifazi, Boschi e Gruppioni, non si limita a generiche raccomandazioni. Il testo è chirurgico: ' impegna il governo al fine di agire coerentemente con le finalità perseguite dall'articolo 6 del provvedimento, ad adottare ulteriori iniziative normative volte a migliorare la permanenza dei detenuti all'interno delle carceri, anche eventuali revisioni del sistema carcerario'.
La formula 'impegna il governo' non è retorica parlamentare. È un vincolo politico e giuridico che obbliga l'esecutivo a dar conto delle proprie azioni. E infatti, puntuale come un orologio svizzero, è arrivata la risposta del ministero della Giustizia tramite il Servizio per il Controllo parlamentare. Ma l'ordine del giorno di Giachetti non viaggia da solo.
Il documento del 30 giugno svela un piano più articolato, una strategia parlamentare che attacca il problema carcerario su più fronti. Ecco gli altri tasselli del mosaico.
L'ordine del giorno di Stefania Ascari del M5S numero 9/ 1532- bis- A/ 27, approvato l'8 ottobre 2024, punta dritto sul supporto psicologico per gli agenti di polizia penitenziaria. Non è solidarietà di facciata: è la consapevolezza che un sistema carcerario malato avvelena anche chi ci lavora dentro. Suicidi, burn- out, violenze: la cronaca ci ha abituato a tragedie che nascono da un ambiente disumanizzante.
Poi c'è l'ordine del giorno D'Alessio- Pastorella di Azione, numero 9/ 2002/ 70, approvato il 7 agosto 2024, che affronta il nodo del reinserimento lavorativo. Qui si parla di soldi veri: incentivi per le aziende che assumono ex detenuti, prolungamento dei benefici fiscali, politiche attive del lavoro. Perché se non c'è lavoro, non c'è rieducazione. E se non c'è rieducazione, il carcere diventa solo un parcheggio umano.
Infine, l'ordine del giorno Faraone di Italia Viva, numero 9/ 2002/ 86, sempre del 7 agosto, che chiede assunzioni straordinarie di psicologi penitenziari e supporto psicologico per gli agenti. Un investimento in professionalità che oggi manca drammaticamente nel sistema penitenziario italiano.
Dietro questi ordini del giorno ci sono numeri che dovrebbero togliere il sonno a chiunque abbia a cuore lo Stato di diritto.
Il sovraffollamento carcerario in Italia tocca punte del 130 per cento in alcune strutture. Infatti, il sovraffollamento medio a livello nazionale è del 134% con punte che superano il 190/200% in alcuni istituti. I suicidi nelle carceri sono aumentati in maniera esponenziale nell'ultimo biennio. Gli agenti di polizia penitenziaria lavorano in condizioni di stress cronico, con organici ridotti all'osso e strutture fatiscenti. Non è un caso che la Corte europea dei diritti dell'uomo abbia condannato l'Italia più volte per trattamenti inumani e degradanti nei confronti dei detenuti. Non è un caso che l'ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, abbia parlato di ' emergenza carceraria' già nel 2013. Sono passati dodici anni e il problema, nonostante sia stato attenzionato dall’attuale presidente Sergio Mattarella, si è aggravato.
La nota del ministero si limita a riepilogare precedenti ordini del giorno già approvati tra agosto e ottobre 2024,
dedicati a temi ormai noti: il supporto psicologico per gli agenti di polizia penitenziaria, gli incentivi occupazionali per ex detenuti, l’assunzione straordinaria di nuovi psicologi. Tutti spunti meritevoli, certo. Ma verrebbe da chiedersi: chi sta svolgendo il vero lavoro parlamentare, quello di monitoraggio e verifica, se le risposte non superano il recinto dei proclami? Il punto più critico riguarda proprio il cuore dell’ordine del giorno firmato da Giachetti. L’impegno a «migliorare la permanenza dei detenuti», con presumibili interventi sulle strutture e sulle condizioni di vita carceraria, si arena nel generico «attuazione data all’ordine del giorno». Nella pratica, nessuno dei passaggi illustrati – né la cornice normativa, né la calendarizzazione dei provvedimenti, né tanto meno un cronoprogramma – contiene scadenze o dettagli operativi. È come se, una volta firmato l’atto parlamentare, il dossier finisse nel calderone burocratico senza un vero motore di cambiamento.
Altro elemento da non sottovalutare: la nota non menziona alcuna visita ispettiva, alcun tavolo di lavoro aperto con associazioni, magistrati di sorveglianza o garanti dei detenuti. A fronte di strutture sovraffollate e dei recenti allarmi per il malfunzionamento delle celle di isolamento, ci si aspettava l’avvio di un confronto più serrato, non semplici «ulteriori iniziative normative» in astratto.
Il rischio è che, dietro un linguaggio apparentemente impegnato, si nasconda un’eccessiva prudenza politica. In tempi di crisi, quando l’opinione pubblica chiede soluzioni urgenti per la sicurezza e il reinserimento sociale, ogni rinvio rischia di tradursi in un allungamento delle sofferenze che si consumano quotidianamente dietro le sbarre. Se davvero l’esito dell’ordine del giorno 9/ 2196/ 21 deve essere una riforma strutturale e non un semplice annuncio, il Parlamento deve stringere i tempi. A partire proprio dalla proposta di legge Giachetti – Nessuno Tocchi Caino.
Ricordiamo che Rita Bernardini, presidente dell’associazione, è in sciopero della fame da 18 giorni.
Serve precisare le tappe, fissare misure puntuali (quante celle saranno adeguate, con quali fondi, entro quando), creare un meccanismo di monitoraggio stretto e trasparente. Il diritto all’intimità è garantito per davvero, oppure rimane sulla carta? Altrimenti si finirà per registrare l’ennesima intenzione restata sulla carta, mentre la situazione nelle carceri continua a degenerare. Non è sufficiente che il ministero «prenda atto» di un ordine del giorno: serve che prenda sul serio la vita quotidiana di chi vive rinchiuso e di chi vi lavora. Solo così si potrà passare dalle parole ai fatti, consegnando al Paese un sistema carcerario degno di questo nome.
Roberto Giachetti sa bene che la battaglia per riformare il sistema carcerario non si vince con un ordine del giorno. Sa che dovrà tornare alla carica, presentare altre interrogazioni, verificare altri documenti, incalzare altri ministri. Ma sa anche che questa è l'unica strada possibile in una democrazia parlamentare. Quella che trasforma le denunce in proposte, le proposte in impegni, gli impegni in controlli. Quella che non permette al potere esecutivo di nascondersi dietro le emergenze quotidiane per dimenticare i problemi strutturali. La nota del ministero è solo un tassello di questo lavoro.
Ma è un tassello importante, perché dimostra che qualcuno a Montecitorio non ha smesso di credere che le carceri italiane possano tornare a essere luoghi di recupero e non di pura custodia. La partita è ancora aperta. E Giachetti, da garantista di lungo corso, sa che non può permettersi di abbassare la guardia.
Nel mentre, ribadiamolo ancora una volta, Rita Bernardini, assieme a numerosi attivisti dei diritti umani, non stanno a guardare. Che fine ha fatto il presidente del Senato, Ignazio La Russa, che ha promesso di battersi per far approvare almeno la liberazione anticipata speciale?



COREA DEL SUD: RESTANO IN 57 I PRIGIONIERI NEL BRACCIO DELLA MORTE
Due prigionieri del braccio della morte sudcoreano sono morti lo scorso anno a causa dell'età avanzata e di una malattia, ha reso noto il 29 giugno 2025 il Ministero della Giustizia di Seoul.
Si tratta di Oh Jong-geun, condannato nel caso degli "omicidi seriali del pescatore di Boseong", e di Kang Young-sung, principale colpevole nel caso dell’“omicidio della taverna di Miryang".
Oh Jong-geun era stato incarcerato per aver ucciso quattro turisti, uomini e donne, che avevano preso la sua barca mentre erano diretti a Boseong, nella provincia di Jeolla, ad agosto e settembre 2007.
Kang Young-sung era un gangster che nel gennaio del 1996 aveva prima ferito due membri di una gang rivale nella taverna Hwaryang a Sammun-dong, Miryang, nella provincia di Gyeongnam, per poi inseguirli in ospedale per finirli, brandendo un'arma contro sette agenti intervenuti.
I due prigionieri sono morti nel carcere di Gwangju a causa dell'età avanzata e della malattia.
Secondo quanto riferito, Oh Jong-geun è morto a luglio dello scorso anno, e Kang Young-sung circa un mese dopo.
Oh Jong-geun era stato condannato a morte nel 2010, diventando il condannato a morte più anziano del Paese, e aveva 86 anni al momento della sua morte.
Kang Young-sung era stato condannato a morte a 30 anni nel 1996 ed è morto a 58 anni.
Oh Jong-geun presentò una causa di incostituzionalità, sostenendo che la pena di morte violi la dignità umana, mentre Kang Young-sung chiese la sospensione dell'esecuzione dopo aver lottato contro un'emorragia cerebrale e altre patologie, tuttavia entrambe le richieste furono respinte.
Con la morte di queste due persone, diventano 57 le condanne a morte definitive in Corea del Sud.
Di queste, quattro sono state emesse sulla base della legge militare e i quattro detenuti si trovano attualmente in un carcere militare.
Dal dicembre 1997, la Corea del Sud non pratica esecuzioni ed è classificata come un "Paese abolizionista di fatto" per quanto riguarda la pena di morte.
Con l'aumento della percentuale di opinione pubblica che chiede l'esecuzione degli autori di crimini efferati, nel 2023 il Ministero della Giustizia ha ordinato una serie di controlli presso gli istituti penitenziari dotati di camere di esecuzione.
(Fonte: biz.chosun, 29/06/2025)



VIETNAM: 11 CONDANNATI A MORTE PER TRAFFICO DI DROGA
Il Tribunale del Popolo di Hanoi ha emesso 11 condanne a morte per “traffico di droga”, ha riportato il sito VnExpress il 2 luglio 2025.
Tra gli 11 condannati figurano due ex poliziotti riconosciuti colpevoli di "assistenza e copertura" nel traffico di quasi 140 kg di stupefacenti.
Ha Minh Duc, 40 anni, era un agente dell'Unità Investigativa Antidroga della Polizia del Distretto di Long Bien, mentre Nguyen Van Hung, 44 anni, era nella Polizia del Distretto di Duc Giang a Long Bien.
Altri due condannati a morte sono Nguyen The Thanh, 33 anni, e suo fratello minore Nguyen The Lap, 25 anni.
Un 12° imputato, Nguyen Thi Kim Huong, 42 anni, è stata condannata all'ergastolo.
Il mese scorso il Vietnam ha abolito la pena di morte per otto reati, tra cui spionaggio, corruzione e tentativo di rovesciare il governo, nonché trasporto di droga. Tuttavia, il traffico di droga rimane un reato capitale.
Il tribunale ha considerato l'operazione un caso "particolarmente grave" di traffico di droga su larga scala, con la droga illegale trasportata attraverso il confine tra Vietnam e Laos, nel Vietnam centrale.
La banda operava in segreto, utilizzando segnali in codice e trasportando la droga su autobus passeggeri fino alla stazione di Long Bien ad Hanoi. Lì, gli agenti, Hung e Duc, fornivano protezione in vari modi illegali, tra cui l'utilizzo di veicoli della polizia per il trasporto della droga e il suo stoccaggio presso le proprie abitazioni.
Thanh, che era la mente dietro l'operazione, avrebbe ricavato circa 5 miliardi di Dong (190.800 dollari) prima di essere arrestato. Huong si occupava di vendere la droga ad Hanoi e Bac Ninh, guadagnando oltre 4 miliardi di Dong.
Gli altri erano complici attivi.
Nove dei dodici imputati avevano precedenti penali per traffico di droga. Thanh e tre dei suoi subordinati, tra cui un ventiquattrenne, erano stati precedentemente condannati a morte per altri reati di traffico di droga.
Huong era stata condannata all'ergastolo per un precedente reato di traffico di droga dal Tribunale del Popolo di Hanoi nel 2023.
All'udienza, l'accusa ha chiesto la pena di morte per 11 imputati, ma non per Huong, poiché è una madre single con figli piccoli. L'attività di traffico di droga risale al 2019, quando Thanh portò 136,8 kg di droga dal Laos al Vietnam.
Huong affermava di avere "ottimi rapporti con la polizia", il che rendeva Thanh fiducioso di poter vendere la sostanza.
I soci di Thanh ritirarono la droga in diverse occasioni al valico di frontiera di Cau Treo, nella provincia centrale di Ha Tinh, e la portarono in un appartamento di Hanoi, dove la droga fu nascosta.
Hung, a cui Huong aveva chiesto aiuto per il trasporto, guidò un'auto della polizia fino al condominio, portando la droga nella sua casa in affitto. Il giorno dopo lo presentò ai suoi complici, dicendo: "Questo è l'agente della polizia del distretto di Duc Giang che ha trasportato la droga per noi". In seguito chiese di conservare la droga nel garage di Hung per un po'. In seguito fu venduta da Huong e Duc.
Hung fu accusato di "aver aiutato e coperto" Huong e i suoi complici nel traffico di 37 kg di droga, per un guadagno di 740 milioni di Dong. Quanto a Duc, Huong lo presentò ai suoi complici come "un agente della squadra antidroga della polizia del distretto di Long Bien", per aumentare la loro fiducia nelle operazioni di traffico.
Nel settembre 2019, dopo che Huong lo informò che un membro di una gang era stato arrestato dalla polizia del distretto di Long Bien durante una consegna di droga, Duc li rassicurò, dicendo di avere "esperienza" e che gli investigatori avrebbero perquisito tutti i luoghi interessati. Quindi ordinò a Huong di "ripulire tutta la droga" nascosta nella stanza in affitto della gang.
La Procura ha accertato che Duc ha aiutato Huong a spacciare droga ad Hanoi, ma che si è anche recato personalmente a Huế numerose volte per pianificare le transazioni con Thanh.
Diverse spedizioni sono andate a buon fine con l'assistenza di Duc.
Duc è stato dichiarato colpevole di "assistenza e copertura" per Huong nel traffico illegale di 134,8 kg di droga, per un guadagno di 1,3 miliardi di Dong. I due agenti sono stati sospesi l'anno scorso, quando la Procura Suprema del Popolo ha deciso di processarli.
(Fonte: VnExpress, 02/07/2025)



I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA

‘SALUTE È ACCOGLIENZA’ 5 LUGLIO A REGGIO CALABRIA

Si terrà il 5 luglio a Reggio Calabria la terza edizione del Congresso “Salute è Accoglienza”, un appuntamento ormai centrale nel panorama nazionale per chi opera nei settori della salute pubblica, dell’accoglienza e della medicina delle migrazioni.
L’evento vedrà la partecipazione di esperti, operatori sanitari, istituzioni e rappresentanti del terzo settore impegnati a vario titolo nella tutela della salute delle persone migranti.
L’invito a partecipare è quindi per sabato 5 luglio 2025, a partire dalle 9.30, presso la sala “Perri” di Palazzo Alvaro (Piazza Italia, Reggio Calabria).





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