"Ninna nanna" di Leïla Slimani (Rizzoli, traduzione di Elena Cappellini) + Pindhar

 

Al ritorno, i brutti pensieri spariscono presto. In soggiorno, Louise ha sistemato un mazzo di dalie. La cena è pronta, le lenzuola profumano di bucato. Dopo una settimana a dormire in letti ghiacciati e a mangiare pasti disordinati sul tavolo della cucina, sono felici di ritrovare i confort di casa. È impossibile fare a meno di lei, pensano. Si comportano come bambini viziati, come gatti domestici.” (pag. 121)

Ho scoperto il nome di Leïla Slimani leggendo il suo racconto nella raccolta “Decameron Project” e in biblioteca ho trovato il romanzo “Ninna nanna” (Rizzoli,traduzione di Elena Cappellini) con cui la scrittrice francese di origine marocchina ha vinto il Premio Goncourt 2016. Un'opera disturbante, destabilizzante, glaciale e scritta benissimo. La trama è semplicissima e riassunta nelle primissime pagine: Louise, una baby sitter/donna delle pulizie, uccide il figlio e la figlia di una famiglia borghese dei quali si prendeva cura. 

Il resto del romanzo, ambientato a Parigi, è un affresco lucidissimo e feroce che racconta senza indugi e patetismo come si è arrivati a quel punto di rottura. Slimani riesce perfettamente a trasporre pagina dopo pagina da un lato la figura oscura, tenera, ossessiva, vedova, luminosa, infantile, indebitata, sola di Louise che si dona completamente ai bambini che cura fino a sprofondare nell'ossessione più devastante e dall'altro la vita di una famiglia alla disperata ricerca di tempo per se stessi, con un padre e una madre che vogliono realizzarsi professionalmente, avere tempo per uscire, divertirsi, viaggiare e che hanno un bisogno disperato che ci sia qualcuno che si occupi della loro casa, dei loro figli, di loro stessi. Una relazione di dipendenza e sfruttamento, di insormontabili differenze di classe, di amore filiale e brutalità dell'esistenza che se ne frega di tutto e tutti e sfocia in tragedia.

La solitudine aveva l'effetto di una droga dalla quale non era certa di volersi staccare. Vagava per le strade, attonita, gli occhi talmente spalancati da farle male. La solitudine le ha rivelato le persone. Ha iniziato a vederle davvero. L'esistenza degli altri è diventata palpabile, tangibile, più vera che mai. Osservava attentamente i gesti delle coppie sedute ai tavolini dei bar all'aperto. Gli sguardi di traverso dei vecchi allo sbando. Le smancerie degli studenti che fingevano di ripassare, seduti sullos chienale delle panchine. Nelle piazze, alla fermata del metrò, riconosceva i segni di insofferenza delle persone che aspettano l'arrivo di qualcuno e si univa a quella strana schiera. Tutti i giorni incontrava compagni di follia, gente che parlava da sola, squilibrati, barboni. In quel periodo la città era piena di matti.” (pag. 93)

L'ho letto angosciato anche perché pure io sono un uomo delle pulizie e spesso vengo trattato con sufficienza, in malo modo, non visto. Quando dico che pulisco i cessi c'è gente che scuote la testa, che mi considera subito un fallito, un poco di buono, un ignorante, uno che vive nello sporco e che insomma deve solo stare zitto oppure una specie di salvatore della patria. Il mio lavoro, detta brutalmente è poco considerato e chi lo fa gode di considerazione e rispetto solo a parole. L'ho vissuto sulla mia pelle e spesso coloro che mi hanno trattato nel pratico con maggiore sufficienza sono stati quelli che si riempiono la bocca di diritti, uguaglianza, salari dignitosi che poi dopo aver saputo cosa faccio nella vita e parlato di dignità di ogni lavoro poi aggiungono sempre “Perché non ti trovi qualcosa di meglio?” e mi rendo conto che non hanno proprio capito un cazzo di niente ma proprio di niente niente. Non sapete quanto mi manca fare quel lavoro, anche se durissimo e con orari particolari.

E niente, se vi va leggetelo questo romanzo perché dopo che lo avrete iniziato non riuscirete più a staccarvi e ci saranno momenti che se un po' non vi commuoverete vorrà dire che siete peggio delle bestie.

Il lunedì mattina, Louise esce di casa all'alba. Cammina verso la fermata del treno, scende a Auber, attende sul binario della metropolitana, percorre rue La Fayette e svolta in rue d'Hauteville. Louise è un soldatino. Avanza, costi quel che costi, come un mulo, come un cane con le zampe spezzate da un gruppo di bambini sadici.” (pag. 83)

 


 

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